Dunque anche per Cesare Prandelli “Viviamo in un Paese vecchio e molte cose vanno cambiate”. Lo ha detto ieri il Ct della nostra Nazionale, sostenendo anche “se questa Nazionale può andare più veloce dell’Italia, essere un veicolo di cambiamento, perché no?”. Da sempre il calcio rappresenta una metafora della società che lo genera. Senza il 68 non ci sarebbe stato il grande campione, Gigi Riva, che non ha mai accettato il trasferimento alla Juventus. Senza l’edonismo reaganiano non ci sarebbero stati Maradona e Platini… E così via. Insomma il calcio è uno specchio dei nostri drammi nazionali: i giovani si sentono dimenticati anche qui. E sono convinti che il merito e la bravura contino poco. La voglia di cambiamento è diffusa e sentita ma fatalmente è mescolata con un grande scetticismo. Si pensa poco al futuro, si pensa poco il futuro. In questo senso Prandelli ha ragione. Il nostro Paese ha bisogno di stimoli per ripartire, di dare una prospettiva alle nuove generazioni. Di invertire la tendenza per cui solo le rendite (sia economiche che di posizione) sono garantite.
La Nazionale può costituire un esempio? Speriamo. E tuttavia sappiamo che tutti i sistemi, Federcalcio e Nazionale comprese, finiscono per auto determinarsi, auto assolversi, auto difendersi. Capita nella politica, ma in genere in tutta la classe dirigente. Nella confusione e nella crisi, non per niente, le corporazioni tendono ad aumentare la loro influenza. Liberare le energie vuol dire allora innanzitutto liberare la società dalla gabbia che lo Stato tende a sovrapporgli. Una gabbia fatta di burocrazie, clientele, favoritismi, priorità acquisite.
Anche nel calcio ci sono storie di ragazzi che emigrano giovanissimi (quando ancora non si sono affermati) per riuscire ad avere una chance reale di successo. I loro racconti non son diversi da quelli dei loro coetanei a Londra o a Berlino, che studiano in Erasmus o frequentano i corsi per un master. L’Italia sembra non dare peso alle cose che contano nelle altri capitali europee.
E però adesso che ha i pieni poteri da Ct, Prandelli deve dimostrare con i fatti di voler cambiare la mentalità. Ieri il principe dei commentatori sportivi, Mario Sconcerti, citava tre giovani emergenti, due del Pescara, Verratti e Insigne, e uno del Siena, Destro. Noi ci sentiamo di aggiungere alla lista anche un altro pescarese, Ciro Immobile, per dire che il calcio più bello quest’anno è venuto in serie B dal Pescara (allenato da Zeman) e in serie A dalla Juventus del giovane Conte.
Anche nel calcio c’è bisogno di rischiare, di voltare pagina, di dare spazio ai meritevoli. Del resto la Spagna che ci ha umiliato domenica è nata a livello giovanile con lo stesso gruppo che ha cominciato a vincere tornei per gli under fino ad approdare al grande calcio.
L’Italia deve tornare ad essere un Paese giovane, un Paese creativo, aperto, accogliente e veloce nelle idee. Siamo stati sempre così nei momenti migliori. Certo, avremmo bisogno di un Cesare, di un Ct anche nella politica. Se la metafora va usata fino in fondo, nonostante il cattivo gusto della polemica sulla sfiga, il pensiero va a Mario Monti e al prestigio che comunque ha riportato sul nostro Paese. O anche questa volta butteremo via Il bambino de risultati ottenuti con l’acqua sporca della vecchia politica?