Quando uno sbaglia, cade, ammette le proprie colpe, i giornalisti danno il meglio di loro: infieriscono. È successo ieri in una scena per certi versi surreale, dettata dalla drammaturgia della cronaca. Stiamo parlando della conferenza stampa di Alex Schwazer, ambientata in una saletta dell’Hotel Sheraton di Bolzano.
Un’ora di sofferenza. Sofferenza vera di un atleta che ammetteva di non avercela fatta a reggere la pressione da risultato, di avere ingannato la mamma e la fidanzata, di aver comprato l’eritropoietina in una farmacia turca (oggi proteste della stampa turca) e di aver fatto finta si trattasse di vitamine. Poi il controllo del 30 luglio che anche per lui diventa una “liberazione”. Un racconto che forse ha qualche zona di omissione o di insincerità, ma che avrebbe dovuto essere rispettato, accolto da un imbarazzato silenzio. Accompagnato da serie riflessioni sullo sport, il successo, il senso del limite e del dovere.
E invece i colleghi di tanti giornali e tivù sono apparsi un plotone di esecuzione. «Ma come? Ma perché volevi vincere? Ma perché non ti sei accontentato di arrivare decimo?». Domande, insomma, spesso un po’ insolenti, un po’ da giustizieri da strapazzo. Schwazer è stato infatti un bersaglio facile. Si fa bella figura con poco. Nessuno lo difende. Nessun direttore ti chiama per addolcire i toni. È fidanzato con la Carolina Kostner? Ancora meglio, scatta la nota sindrome da Federica Pellegrini: il gossip, i nordici biondi e belli che sono peggio dei meridionali… robe così.
Con la Pellegrini già avevamo vissuto una relativa sconfitta sportiva trasformata in psicodramma nazionale. Gli stessi che ci annoiavano con fiumi di parole sulla non interessantissima vita privata di “Fede”, ora la rimproveravano per essere stata troppo esposta ai mass media. Troppe pubblicità, troppe copertine, troppo gossip. Ma chi le decide queste cose se non giornali e giornalisti?
Ora con Schwazer abbiamo trovato il cattivo da giudicare e giustiziare di fronte alla platea delle Olimpiadi. Invece di raccontare la sua storia per spiegare ai giovani che lo sport è fatica e sacrificio e che come nella vita, la scorciatoia dell’additivo, dell’aiutino, della droga sono rovinosi, lo si fa passare come un cretino, uno che non si meritava nulla, che non si capisce come mai voglia piangere, parlare, giustificarsi.
È vero: il nostro mestiere è fatto di carogne, gente spregiudicata che picchia in testa chi è in difficoltà. Direbbe Manzoni siamo i primi maestri del “servo encomio e del codardo oltraggio”. Ecco quello contro Schwarz ieri è stato un codardo oltraggio.
C’è chi ha scritto: “Piangono anche i dopati”… Ma in che mondo viviamo? Non vogliamo lasciare, a chi ha sbagliato, il diritto alla commozione, al pianto, alle scuse pubbliche? Senza nulla giustificare, senza nulla acconsentire, senza minimamente ammiccare a nessun tipo di legittimazione.