Dunque il comandante Francesco Schettino è comparso in Tribunale per cercare di impedire alla Costa Crociere di licenziarlo. E’ suo diritto. Il merito della causa di lavoro è noioso, materia da azzeccagarbugli (riguarda la nuovissima legge Fornero) e in più ci sono ben due fori giudiziari diversi che se ne occupano: Torre Annunziata e Genova. Ma certo la situazione è fortemente simbolica per il nostro Paese. Non si può licenziare Schettino, questo il messaggio che emerge in modo grossolano. Sistema giudiziario e sistema del lavoro non sono in grado di dare risposta all’esigenza di giustizia che c’è in ognuno di noi. Schettino, un anno fa ormai, era diventato il simbolo di un’Italia alla deriva, con una classe dirigente incapace e corrotta, distratta e cialtrona.

Ricordate la stampa internazionale? La grande metafora del naufragio del Giglio era diventata il racconto di un Paese uscito fuori controllo, incagliato sull’isola della crisi e dello spread. Soprattutto Schettino era il ritratto del comandante sbagliato, del capo che abbandona per primo la nave che sta affondando e non soccorre i suoi passeggeri e il suo equipaggio. Ora rischiamo di nuovo di finire sui giornali di tutto il mondo per un’altra delle nostre specialità: la lentezza del nostro diritto, che finisce per essere la mancanza della certezza della pena. Un ritratto kafkiano del Paese in cui pare ha avuto luce il Diritto Romano, che il mondo ci ha invidiato per secoli.

E’ mai possibile che da noi una causa civile (di qualsiasi natura) oggi duri in media tre anni per arrivare alla prima sentenza? In Germania ci mette un terzo del tempo. E quando diciamo causa civile diciamo la giustizia sensibile per l’impresa, oggi si direbbe per la crescita. Tutto il diritto del lavoro, le controversie sul copyright, il diritto commerciale, la competizione finiscono in cause civili…  Nella fotografia dell’Italia di Schettino c’è dunque anche questo: uno spread, una differenza terribile e vergognosa col resto dell’Europa. Chi faccia impresa e crei lavoro da noi sa che deve realizzare le sue attività con questo grande handicap di fondo.

Sarà giusto licenziare Schettino? Avrà davvero ragione la Costa Concordia a chiedere la fine del rapporto di lavoro? Non raccontate che in Italia passiamo settimane e mesi con queste domande nelle aule di giustizia, quesiti di cui si occupano persino due Tribunali, uno coinvolto dalla azienda, cioè la Costa Crociere, l’altro dal licenziato, cioè da Schettino; altrimenti facciamo un’altra figuraccia planetaria. Quando la procedura giudiziaria si allontana dalla sostanza delle cose e dal buon senso diventa davvero una specie di testa coda che danneggia tutti.

Forse per la nostra reputazione non sarebbe stato male che la Costa e il comandante trovassero un’intesa fuori dalle aule di giustizia. Ma anche qui: quante cause civili in Italia finiscono per sfinimento, con una transazione fra le parti, logorate da anni di attesa e di spese legali? Non possiamo sperare, come ai tempi dell’Assolutismo settecentesco, che chi ha il potere sia buono. Anche perché non capita quasi mai. E Schettino, purtroppo, conferma la triste regola.