Una piazza gremita di persone. Un leader indiscusso. Beppe Grillo in piazza Duomo a Milano (alla vigilia dell’arrivo a piazza san Giovanni a Roma) è un messaggio eloquente. Al di là dei sondaggi, più o meno bisbigliati, l’impressione è di un fenomeno ampiamente sottovalutato. È vero: anche per sentire Pier Luigi Bersani (e Romano Prodi) piazza Duomo si era riempita. Il fatto è che si tratta di due platee molto diverse. A sentire Bersani sono andati quelli, giustamente, organizzati dal partito, magari coi pullman delle sezioni. A sentire Grillo sono andati i singoli, le coppie, le famiglie, sicuro i curiosi. Insomma invece degli organizzati, che pure c’erano in minima parte, la parte del leone l’hanno fatta i cittadini mossi dall’opinione, mobilitati da una possibile novità. La qualità delle due piazze, al di là delle gare numeriche, è molto diversa. E lo dico senza dare un giudizio di merito ma per riflettere su ciò che sta accadendo nel nostro Paese.



Non ho mai pensato che la gente sia stupida. Che gli italiani siano sempre stati dei minus habentes, per cui dunque hanno votato in sequenza prima la Dc, poi Craxi e poi Berlusconi perché sono corrotti e familisti amorali… Non è neanche interessante leggere così la politica e i desideri e le pulsioni del popolo. L’interessante anzi è proprio capire che cosa susciti chi dice una determinata cosa, invece di un’altra.



Grillo solleva un grido di “vaffa…” dentro la folla del popolo che gremisce piazza Duomo e lo indirizza verso l’establishment, coinvolgendo tutto e tutti, non distinguendo le responsabilità. Un grido populista e grossolano, come gli imputano i suoi vari critici e concorrenti politici, e tuttavia rappresenta una domanda vera che si pone alla casta, e in genere alla classe dirigente di questo Paese. Domanda vera di democrazia. I popoli vogliono decidere il loro destino, anche oggi quando sembra (come spiega il sociologo Zigmunt Bauman) che il potere non risieda più nella politica. Tantomeno nel voto. 



È sbagliato, ad esempio, dimenticarsi che Grillo ha costruito la sua autorità, diciamo così politica, attraverso un lavoro di denuncia costante dei meccanismi di un’economia che ha subito in questi folli anni una finanziarizzazione selvaggia. Coi casi Cirio, Parmalat, Telecom, messi al centro dei suoi monologhi comici, parlando di banche e di derivati, partecipando alle assemblee degli azionisti…

Per non parlare delle critiche alle politiche europee di austerità, segnate negli ultimi due anni da un carico fiscale quasi insostenibile, che ha finito per creare una recessione drammatica. Ecco un’altra domanda alla classe politica: come ristabilire un rapporto con le decisioni democratiche nell’integrazione europea?  

Ovvio poi che la piazza del Movimento 5 Stelle costringa anche a muoversi sul terreno dei tagli ai costi della politica, diventati insostenibili. Possibile che ci siano ancora le Province? Che il presidente di quella di Bolzano guadagni il doppio della Merkel? Che il Molise intero, ad esempio, abbia due Province, un consiglio regionale, una Regione, tutti i Comuni? Vogliamo fare il conto di quanto costa la burocrazia statale ad ognuno di noi?

La soluzione che Grillo propone è “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno”: rompere, cacciare, epurare. Anche qui c’è una vera domanda di cambiamento, di alternativa, di aria nuova. Ma quanta violenza c’è? Quanta presunzione c’è nei nuovi puri e duri? La partita della prossima legislatura sarà anche questa, soprattutto questa. Se la politica ritroverà una sua dignità e capacità di auto riforma, oppure se i “barbari” grillini arrivati a Roma sapranno in qualche modo rifondare le forme politiche. Due speranze, entrambe remote.