Elezioni paradosso. Elezioni paralisi. Elezioni con solo quattro vincitori. E con nessuno che vince davvero. Sì, è vero: Grillo ha fatto il boom, Berlusconi ha recuperato in modo inaspettato gran parte del suo elettorato, Bersani ha comunque ottenuto la maggioranza alla Camera, Monti ha creato un raggruppamento di centro. Spazzati via Fini, Di Pietro, Ingroia, Giannino…
Ma ci sono questioni gravissime, aperte. La prima riguarda la parte politica che in tempi di crisi economica e di ansia di cambiamento aveva la chance (e la responsabilità) più grossa: la sinistra. In tutti i Paesi moderni, occidentali, quando la crisi economica morde, quando i Governi sono in difficoltà e si sente arrivare la scure dei tagli e dell’austerità, la classe media si rivolge ai partiti socialdemocratici, laburisti, di centro sinistra. E’ un riflesso normale, sacrosanto, andare a proteggere le fasce più deboli. Rivolgersi a chi, almeno titolarmente, dovrebbe pensare ai più poveri. Qui invece, che cosa è successo del teorico vantaggio offerto alla sinistra?
La storia, e neanche la cronaca politica per carità, non si fa con i se. E però stavolta la circostanza è così enorme, direi madornale, che diventa difficile non pensare alle ipotesi su che cosa potrebbe essere stato il centro sinistra italiano. Pensate oggi come sarebbe diversa la giornata post elettorale se alle primarie del Pd fosse prevalso Matteo Renzi. Se invece che pensare a difendere il vecchio recinto chiuso del proprio apparato, il principale partito di sinistra in Italia avesse seguito l’inclinazione popolare, i desideri degli elettori, rinnovando la leadership con un quarantenne. In più, pensate che cosa sarebbe accaduto se, come sarebbe stato ovvio e naturale, il Pd avesse mantenuto il collegamento strategico con la Spd, con Hollande, con i socialdemocratici europei, invece che dare l’impressione di essere sotto l’ipoteca di Mario Monti.
A proposito di Monti: l’uomo che voleva rilanciare il centro e quantomeno sottolineare i difetti del bipolarismo all’italiana, si trova a liquidare l’Udc, lasciare a casa Fini, raggiungere l’obiettivo minimo di una manciata di deputati e senatori, neanche decisivi. Monti, fosse rimasto a casa, sarebbe già oggi il garantito inquilino di Palazzo Chigi. Altro paradosso: se non si fosse presentato, stamattina sapremmo per certo che avrebbe ricevuto di nuovo la disperata richiesta dei partiti di fare un nuovo governo tecnico, quantomeno per mettere in cantiere una diversa legge elettorale e andare di nuovo a votare. Mai dire mai, in politica, ma ad oggi è molto, molto, molto difficile che Monti sia percepito come super partes, il salvatore della patria. Semmai, “salendo” in politica è rapidamente diventato il garante della Merkel, l’uomo dell’Imu, il “vampiro” altezzoso dei poteri forti, il commissario europeo che comminava i compiti a casa alla povera gente, con una politica di lacrime, sudore, sangue.
Anche Grillo è vittima di un paradosso. Vincitore assoluto delle elezioni, dà l’impressione di non voler “usare” questi voti del suo Movimento 5 Stelle e questa vittoria nel libero gioco della politica, per paura di contaminarsi col Palazzo, che pure ha invaso. Se almeno Beppe Grillo stesso si fosse presentato, oggi ci sarebbe un leader indiscusso (nessuno è leader come lui nel nascente movimento) che entra alla Camera (o al Senato) e può decidere senza temere di essere smentito e delegittimato dopo due secondi. Tutti adesso si chiedono: con chi farà patti il M5S? E ne farà? Farà ostruzionismo ad oltranza fino alle prossime elezioni, magari fra sei mesi dove puntare al 40 per cento?
E poi c’è il paradosso di Silvio Berlusconi. Che è questo: la più grande affermazione della sua intera carriera politica, relativamente ai sondaggi e alle previsioni che ha clamorosamente rimontato e smentito, non lo mette in primo piano personalmente. Mentre la campagna elettorale ha dimostrato che il Pdl è solo lui. Mai come adesso gli Alfano, i Cicchitto, i Gasparri appaiono poco adeguati. Se, oltre al Senato, avesse vinto davvero le elezioni, chi sarebbe andato a Palazzo Chigi, a dover mantenere le promesse sulla restituzione dell’Imu?
Elezioni mattoidi, come mattoidi sono stati i candidati. Giannino il più grande di tutti, in questo campo, ma anche Ingroia che si paragona a Falcone, Monti con il cagnolino e il nipotino spread, Berlusconi che fa le battute osé alla dipendente della Green Power, Bersani che sull’Mps vuole “sbranare” chi lo critica, Grillo che non vuole i giornalisti e le tv sul palco di San Giovanni… Un concorso nazionale di mattoidi, anche divertente se non fosse che sulle grandi questioni c’è una grande nebbia: come tagliare la spesa pubblica, come ridurre le tasse, come stare in Europa, come creare lavoro…
E tuttavia, ora, lasciate ai popoli, ai cittadini, lo stesso privilegio che ad ogni momento riconoscete ai mercati: i mercati hanno sempre ragione. Anche i popoli hanno sempre ragione, soprattutto quando votano in democrazia. O no?