Luca Lotti e David Ermini: i capponi di Renzi. Qualcuno si ricorderà della metafora suggerita da Manzoni nei Promessi sposi quando descrive Renzo che va dall’avvocato Azzeccagarbugli portandogli in dono quattro capponi che tiene in mano stringendoli per le zampe legate insieme e a testa in giù, con le povere bestie “le quali intanto s’ingegnavano a beccarsi l’una con l’altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura”. Se Manzoni avesse in mente una riflessione generale sull’umanità o alludesse all’incapacità degli italiani di far causa comune per il loro futuro è materia di discussione. Può essere che siano vere entrambe le cose. Certo la metafora, nell’uno e nell’altro senso, è più che mai valida oggi. La lotta senza quartiere per il controllo del Csm tra due dei più blasonati seguaci di Matteo Renzi fa capire più di ogni altra cosa perché ci ritroviamo i 5 Stelle al governo, perché non si è mai fatta la riforma della giustizia e perché adesso le correnti della magistratura saranno egemonizzate da Autonomia e indipendenza di Piercamillo Davigo.
Tutti vogliono che Nicola Zingaretti cacci Lotti in quanto deputato che si è intromesso in nomine del Csm. Ma Ermini, vicepresidente del Csm, non era responsabile giustizia del Pd fino a pochi mesi fa? Che ci fa al Csm chi faceva la politica sulla giustizia del Pd? Sarebbe da capire una cosa: Lotti si dovrebbe dimettere da che cosa? Da deputato? E perché? Per aver fatto politica pur non essendo un magistrato? O per essersi fatto intercettare in violazione dell’articolo 68 della Costituzione?
Scusate le domande ingenue: gli Usa e la Francia, dove non c’è l’indipendenza della magistratura, sono paesi non democratici? Indipendenza vuol dire potere non controllato da nessuno? È giusto che la magistratura controlli la politica ma pretenda di non essere controllata? Queste domande da molti anni avrebbero potuto porsele i capi politici italiani. In particolare avrebbero dovuto porsele chi ha subìto o promosso l’uso politico della giustizia.
Il caso Lotti-Ermini fotografa invece la realtà: come i capponi di Renzo/i, i due dirigenti piddini non rinunciano ad usare la scorciatoia del controllo dei processi e delle nomine dei procuratori per risolvere i problemi della politica. E abbandonando il popolo italiano e la sua domanda di giustizia al proprio destino.