È l’art. 105 della Costituzione che spiega quali siano i compiti del Csm, il Consiglio superiore della magistratura: decidere “le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati”. La funzione di questo organo è fondamentale per garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, tanto da essere presieduto dalla massima carica dello stato, il Presidente della Repubblica. Oltre al Presidente e al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, il Csm è composto, dopo la riforma Cartabia che ha implementato il numero dei consiglieri, da 20 membri togati (eletti dai magistrati di tutta Italia) e da 10 cosiddetti laici, nominati dal Parlamento in seduta comune e scelti tra avvocati e professori di diritto.



I magistrati hanno già eletto i loro rappresentanti, ora tocca al Parlamento in seduta comune, e convocato per martedì 17 gennaio, nominare i 10 laici da scegliersi tra le oltre 150 autocandidature fino ad oggi depositate.

Il lavoro (ben remunerato) dei consiglieri del Csm è difficile e implica una conoscenza approfondita dell’ordinamento giudiziario, un ginepraio di norme, leggi, leggine e di centinaia di circolari che rendono la materia assai complessa. E serve poi molto equilibrio e buon senso in quanto sono in gioco valori fondamentali quali l’indipendenza della magistratura, il principio del giudice naturale precostituito per legge (il Csm vigila sulla corretta assegnazione dei processi ai diversi giudici), il buon funzionamento della giurisdizione anche attraverso l’esercizio della funzione disciplinare, le valutazioni di professionalità e la nomina a capi degli uffici giudiziari dei migliori giudici.



I magistrati da eleggere al Csm, nonostante le modifiche apportate dalla riforma Cartabia, sono prevalentemente decise dalle correnti appartenenti all’Anm (Associazione nazionale magistrati), mentre quelle dei laici, come detto, dal Parlamento. Sono quindi tutte nomine dettate dalla “politica” (termine da intendersi in senso lato). Di norma i magistrati eletti dai colleghi sono per lo più di alto profilo professionale e grande preparazione tecnica (anche perché i giudici imparano a districarsi dai garbugli di norme e circolari dell’ordinamento giudiziario fin dai primi giorni di ingresso in magistratura). È necessario quindi che anche la componente laica non sia da meno. È necessario che i partiti non cedano alla tentazione di scegliere candidati bocciati dagli elettori alle ultime politiche o uomini di partito in qualche modo da “sistemare”.



Occorre invece che vengano nominati docenti universitari di alto profilo e avvocati di comprovata esperienza che abbiano magari maturato esperienza nei consigli giudiziari (gli organismi che in ogni distretto di Corte di Appello istruiscono le pratiche che vengono poi trasmesse al Csm) o nei consigli dell’Ordine. Solo così la componente laica, numericamente minoritaria rispetto a quella togata, potrà dare il suo valido ed irrinunciabile contributo in un organismo che, per volontà dei padri costituenti, deve avvalersi delle competenze e professionalità delle diverse componenti della giurisdizione. È opinione sempre più diffusa, infatti, e le innovazioni della riforma Cartabia in tema di ordinamento giudiziario lo testimoniano, che una buona amministrazione della giustizia è possibile solo attraverso la collaborazione e il contributo, su un piano di pari dignità, di tra tutti i protagonisti dell’esercizio della giurisdizione e in particolare di giudici e avvocati.

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