Quando la politica era un cosa seria si teneva alla larga dalle beghe su cui non poteva e non doveva impicciarsi. Soprattutto in pubblico. Poi gli anni del maggioritario hanno sdoganato ogni intrusione, da quelle nel costume allo strabordare in territori impervi e pericolosi. Piano piano essere di parte ha contato molto, fino a che anche i luoghi più doverosamente neutrali sono diventati terreno di scontro basato sull’appartenenza. Da alcuni decenni un pezzo della lotta politica è passata nelle stanze meno avvezze e conciliabili con gli accordi e sotterfugi della politica. Fino a infiltrare con la sua logica spazi quasi sacri.
L’apoteosi di questa commistione la descrisse bene Luca Palamara nei sui due libri in cui ha raccontato con grande precisione i fatti e i metodi che lui stesso ha messo in chiaro e di cui è stato protagonista negli anni in cui era uno dei massimi esponenti del governo della magistratura. La cosa divenne talmente enorme che i giornali, l’opinione pubblica e le istituzioni si accorsero che, così com’era, il Csm non poteva più funzionare. Palamara stesso, semplificando, sostenne di essere stato quasi costretto ad agire in modo apertamente correntizio per reagire ad altre forze che lo volevano escluso. Che sia vero o meno avrebbe dovuto dircelo la Procura di Perugia, che tutt’oggi sul punto poco ha chiarito. Ma rimase di quella stagione il giudizio del presidente Mattarella, che parlò espressamente di “gravi commistioni tra politica e magistratura”.
Cosa ha detto dunque di “non accettabile” il vicepresidente del Csm Fabio Pinelli? Semplicemente quello che tutti, ma tutti, pensavano e dicevano in quelle giornate complesse e convulse in cui emergeva come le correnti avessero preso in mano il Csm e si stessero combattendo fuori e dentro quel consenso. Tanto da indurre il suo presidente, Mattarella, a precisare che quella commistione tra politica e magistratura andava spezzata, chiedendo un intervento del Parlamento.
Ora che la bufera appare sedata si vorrebbe sedare anche quella legittima esigenza di tornare in un equilibrato sistema di poteri in cui il Csm si occupa del governo del magistrati, e basta. Niente di più. Ma i riflessi condizionati sono scattati contro Pinelli, che è stato accusato da Ermini di aver fatto dichiarazioni fuori luogo. Delle due l’una. O Mattarella nel parlare di commistione sbagliava, e Pinelli mettendosi nella scia del presidente, pure. O le critiche ci sono perché una efficace de-politicizzazione di un luogo istituzionale sta procedendo, e la cosa inizia a creare problemi a chi non la vuole.
Come si vede da diverse settimane, lo scontro tra politica e parte della magistratura prosegue in ogni sede. Ma la certezza è che non ci si fermerà. Più la politica esce da alcuni meccanismi e si vede meglio il merito delle questioni, più perde peso quella parte di magistratura che ha voluto interpretare un ruolo attivo nelle decisioni centrali del Paese con l’ambizione di dettare la linea su molti, troppi, ambiti. Pinelli, che ha dalla sua il fatto di essere un rispettato e preparato giurista, ha mantenuto il punto del suo mandato: dividere le sorti del Csm da quelle delle politica e rimettere al centro la giustizia come servizio oggettivo ed efficace al servizio dei cittadini.
Su questo nessuno potrà rendergli la strada agevole e confortevole. Troppi decenni sono trascorsi da quando il Csm, da oscuro luogo di gestione delle carriere dei magistrati, si è trasformato in un luogo di confronto anche ideologico. Riuscire nell’impresa sarà complicato e difficile. Ma Pinelli ed i consiglieri che vogliono percorrere questa strada dovranno abituarsi ad attacchi e manovre di chi vuole mantenere lo status quo. Cambiare è necessario, come diceva Mattarella nei giorni difficili del Csm, e se si vuole tenere fede alla strada indicata dal Presidente si dovrà dare la netta percezione che non si può fermare il percorso perché una parte non lo vuole.
Il patto per supportare questa strada è che, finalmente, il gioco delle correnti cessi ed i magistrati vengano promossi ed indicati solo per i loro meriti e le loro competenze, non per le loro appartenenze. Come invece Palamara dice accadesse e come Mattarella voleva non accadesse più. Staremo a vedere. Siamo solo all’inizio, buona strada a Pinelli. A chiunque appartenga, se ci riuscirà.
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