Caro direttore,

lunedì IlSussidiario ha ospitato una lettura a caldo delle candidature presentate al Csm per la successione a Francesco Greco, che fra tre mesi lascerà la guida della Procura di Milano. Le assenze di due nomi annunciati – i capi delle Procure di Catanzaro e Napoli, Nicola Gratteri e Giovanni Melillo – e la presenza di un nome non annunciato come quello del Procuratore generale di Firenze, Giuseppe Viola, hanno suggerito un possibile schema di tregua fra le correnti in lotta nella magistratura nazionale.



L’ascesa di Viola a Milano – sulla carta poco avversabile nel confronto fra i curricula dei nove candidati – è parso coerente con due possibili linee di aggiustamento, a cavallo fra la Procura ambrosiana e il Csm. Il primo: la nomina di un magistrato esterno al palazzo milanese e appartenente a Magistratura indipendente porterebbe una netta cesura con la storica egemonia di Magistratura democratica da Mani Pulite in poi. In secondo luogo, lo scarico su Milano (indagata da Brescia) di tutte le tensioni maturate con il “caso Palamara” (con epicentro Roma, sotto indagine da Perugia) avrebbe depotenziato in termini politico-mediatici la crisi profonda e conclamata dell’ordine giudiziario. In estrema sintesi: una “pax” transitoria (dentro e attorno la magistratura) avrebbe visto Michele Prestipino rimanere al vertice alla Procura di Roma come erede (tuttora contestato al Consiglio di Stato) di Giuseppe Pignatone; Viola “risarcito” con la Procura di Milano; Gratteri dirottato alla Procura nazionale antimafia, con Luca Palamara (già radiato dal Csm) e Greco (in uscita poco onorevole da Milano) nel ruolo di vittime sacrificali.



Questo esito possibile appare più incerto dopo le decisioni – abbastanza inattese e clamorose – adottate ieri dal Csm: che ha respinto la richiesta del Pg di Cassazione, Giovanni Salvi, di trasferire il pm milanese Paolo Storari. Era stato quest’ultimo a innescare il “caso Amara”, esploso dopo la recente assoluzione dei vertici Eni, lungamente perseguiti dalla Procura di Milano. Il “caso Amara-Storari” era divenuto in breve il “caso Greco”  a Milano e il “caso Davigo” a Roma, oscurando il “caso Palamara”. Ma in concreto ha spinto a Milano 150 magistrati (fra cui la quasi totalità dei pm) a solidarizzare con Storari contro Greco; e a Roma a un braccio di ferro tutt’altro che irrisolto sulla fantomatica “loggia Ungheria”, una sorta di “nuova P2”, di cui circolerebbe una lista di 40 appartenenti.



Il Csm – la cui decisione andrà approfondita – ha ora nei fatti riconosciuto le ragioni di Storari (e quindi quelle di Davigo) sull’opportunità di indagare sulle “loggia Ungheria” (cioè sulle commistioni essenzialmente romane fra politica, magistratura e affari). Su un altro versante l’organo di autogoverno della magistratura ha mostrato di non poter ignorare il pronunciamento del palazzo di giustizia di Milano: che rifiuta di finire alla mercé di quello bresciano per le scelte di Greco, da tempo contestato.

Ogni tentativo di gestire da Roma la crisi del Csm criminalizzando e commissariando la Procura di Milano sembra quindi ora più difficile (mentre è entrata in difficoltà anche la figura di Salvi, succeduto in modo traumatico a Riccardo Di Fuzio, poi prosciolto nell’inchiesta Palamara di Perugia). Non è un caso, intanto, che sui media abbia preso quota la candidatura interna del procuratore aggiunto milanese Maurizio Romanelli, oggi capo dell’anticorruzione (ha indagato da ultimo sul governatore lombardo Attilio Fontana). Un aderente alla corrente di sinistra Area: che a Milano vuole chiaramente “resistere-resistere-resistere”. Anche a costo di rivelare i “segreti” della loggia Ungheria: non furono forse i pm milanesi Giuliano Turone e Gherardo Colombo, quarant’anni fa, a scovare la lista P2 nella villa di Licio Gelli?

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