Non si vedeva una protesta del genere a L’Avana e in tutta l’isola di Cuba dagli anni Novanta, quando per la prima volta venne messo in (parziale) crisi il potere esclusivo del regime comunista della dinastia dei Castro. Oggi il Presidente è Miguel Diaz Canel, l’ideologia è rimasta la stessa ma la protesta clamorosa vista negli ultimi giorni nella popolazione cubana buon ben dirsi, a ragione, un fragoroso atto di accusa alla dittatura comunista. Scontri, più di 100 arresti, un agente ferito e addirittura un sacerdote incarcerato, padre Casto José Alvarez Defesa: ecco, partiamo dall’ultimo fatto che sembra anche il meno “significativo” per i più ma che rappresenta forse da vicino l’esasperante giogo dell’ideologia da Ernesto Guevara in poi.
«Tutti siamo chiamati a vincere il male», per questa semplice frase detta su Facebook, il prete cattolico cubano è stato ricercato e poi arrestato con l’accusa di «disordine pubblico». Attenzione però, qui la protesta anticomunista non rappresenta uno scontro di “idee” o di opposte ideologie: no, tutt’altro, c’è in campo un’esigenza assai più basilare e urgente, ovvero la fame che attanaglia il Paese da anni. Con la pandemia l’emergenza si è acuita ma ancora una volta, alla prova dei fatti, la gestione centralista-dirigista-castrista non regge il peso delle esigenze che il popolo chiede a gran forza. “Abbasso la dittatura” e “Abbasso Díaz-Canel” si vedono per le strade di almeno 25 città cubane negli ultimi giorni, come spiga il quotidiano web locale “Inventario”: il Guardian ha poi pubblicato stamane un’immagine con 3 auto della polizia rovesciate. Le proteste sono iniziate in mattinata a San Antonio de los Baños (ovest), oltre che a Palma Soriano, e grazie ai social hanno rapidamente coinvolto la capitale de L’Avana, dove oltre un migliaio di persone ha sfilato lungo le strade del centro gridando slogan come “patria e vita” e “libertà“.
LA PROTESTA A CUBA CONTRO IL COMUNISMO
Le risposte della polizia non si sono fatte attendere e con la maggior parte degli agenti in borghese (per disperdersi meglio nella folla in protesta) hanno cominciato a manganellare e arrestare i manifestanti che riuscivano a bloccare: addirittura la Reuters ha riportato di alcuni testimoni oculari che nelle vie de L’Avana hanno visto Jeep delle forze speciali equipaggiate con mitragliatrici. Alla BBC ha parlato un manifestante delle proteste iniziate nella città di San Antonio de los Banos: «Oggi è il giorno: non ne possiamo più. Non c’è cibo, non ci sono medicina, non c’è libertà. Non ci lasciano vivere. Siamo stanchi». La crisi economica, le sanzioni americane ma soprattutto la gestione del regime non lasciano spazio ad una popolazione sempre più al collasso, come dimostra il messaggio dell’infermiera testimone al giornale “Diario de Cuba” lo scorso febbraio: «Non ci sono più letti né barelle, l’ospedale si è ritrovato senz’acqua per due volte per più di sei ore». Di contro, il Presidente Miguel Díaz Canel è tornato a parlare alla tv di Stato rimandando contro Occidente e Usa tutte le accuse e le motivazioni sull’enorme crisi sociale: «C’è un settore che commette reati. Ieri abbiamo visto criminali. Ieri la protesta non era pacifica, c’è stato vandalismo, hanno lapidato le forze dell’ordine. Un comportamento totalmente volgare, indecente, delinquente. Non abbiamo invitato la gente a confrontarsi con la gente. Abbiamo invitato la gente a difendere la rivoluzione, a difendere i propri diritti. E la gente ha sostenuto». Il Governo sta lavorando, conclude il Presidente cubano, «per migliorare la situazione del sistema elettrico nazionale, nonostante il blocco economico, commerciale e finanziario degli Stati Uniti».