Un tipico esperimento chimico usato nelle scuole, del quale molti avranno ricordo, è quello dell’analisi “alla fiamma”: si accosta al becco di Bunsen una piccola quantità di un materiale che, nella combustione, rende la fiamma di un particolare colore e – sulla base di questo – si può imparare molto sulla sua struttura e le sue proprietà.
Il libro di Saulle Panizza Le dimissioni nel diritto costituzionale (Pisa University Press, 2018) compie un’operazione in qualche modo simile. Come accostando diversi tipi e qualità di poteri al “fuoco distruttore” del loro momento terminale – talvolta traumatico – l’indagine permette di approfondire la loro natura, anche scoprendone lati inaspettati.
Il campo dell’analisi, nettamente delimitato in premessa, è quello appunto del diritto costituzionale, mentre si lascia sullo sfondo la parte riguardante il diritto amministrativo, pur concettualmente liminare nel diritto pubblico: le argomentazioni a supporto di questa scelta sono stringenti, dato che appunto in tale secondo caso il rapporto tra soggetto e incarico ricoperto non solo risente di un quadro normativo alluvionale, ma anche del pesante ingresso di normativa privatistica. Inoltre – e soprattutto, ai fini che qui rilevano – “gli stessi principi costituzionali che in questo caso possono venire in considerazione […] sono differenti, almeno in parte, da quelli operanti negli ambiti di più diretta incidenza del diritto costituzionale in senso stretto”, concentrandosi sugli artt. 97 e 98, e per alcuni 23 e 4 Cost.
Lo scopo è piuttosto, come si diceva, quello di prendere “di petto” il diritto costituzionale, con la sua capacità di dissezione e studio del potere ai suoi massimi vertici, anche allo scopo di una verifica incessante della conformità ai principi fondamentali, tenendo viva l’armonia tra finalità e strumenti limpidamente delineata dalla Costituzione stessa. Un’armonia che del resto, come emerge anche dalle pagine di quest’opera, appassiona l’autore (professore ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Pisa), che affianca all’attività scientifica un’intensa attività di alta divulgazione, anche come responsabile scientifico del Laboratorio universitario di cultura costituzionale.
Seguendo quindi il metodo appena indicato, il primo capitolo è dedicato alle dimissioni secondo le ricorrenze esplicite nel testo costituzionale, e dunque con particolare riferimento a Presidente della Repubblica, Governo e Consigli regionali. Nel primo caso si compie un dettagliato excursus dei precedenti, mettendo in luce le differenze tra i diversi casi, nel quadro a contorni sfuggenti di una (altissima) carica monocratica che, nel tendenziale silenzio costituzionale, “si fa” in gran parte nella prassi. Particolare attenzione, si segnala, è dedicata alla distinzione tra le dimissioni a fine mandato per la mera cortesia di agevolare l’insediamento del successore e quelle, di ben altro interesse ricostruttivo, che hanno comportato un accorciamento del mandato drammatico o polemico come nei casi di Segni, Leone o Cossiga (si vedano le considerazioni alle pp. 31 ss.).
La parte del primo capitolo dedicata al Governo utilizza invece una diversa prospettiva: non apparendo all’Autore proficua una disamina dell’ampia casistica – decine e decine di casi eterogenei – la scelta è di concentrarsi sulla ricostruzione operata dalla Corte costituzionale nella sent. n. 7/1996, con riferimento alla controversa questione della cosiddetta sfiducia individuale al singolo ministro, non esplicitamente prevista in Costituzione. Al di là della problematica in oggetto, l’autore nota che la Corte ha meglio precisato i contorni del rapporto fiduciario tra Parlamento e Governo in termini di (necessaria) “consonanza”, il che permette di trarre spunti a contrario anche sul tema delle dimissioni.
Certo è che – appunto – il nesso fiduciario è elemento portante della forma di governo (segnatamente, parlamentare) e presenta quindi peculiarità insuscettibili di estensione ermeneutica se non, almeno per alcuni aspetti, rispetto a quanto avviene a livello di organi politici regionali. Infatti, il capitolo si completa con una disamina di ciò che si prevede in Costituzione per i Consigli regionali, anche nel loro rapporto con la Giunta. In questo caso, l’autore pone l’accento sia sulla scarna prassi precedente rispetto alla “stagione riformatrice” del Titolo V che, in particolare, sulla nuova formulazione dell’art. 126 Cost., sottolineandone sia le ambiguità terminologiche sia la giustapposizione di ipotesi in realtà diversissime tra loro. In definitiva, appare dal testo costituzionale un quadro frastagliato, “certamente non espressione di un disegno organico o unitario”.
Infatti, il secondo capitolo “scende” nella gerarchia delle fonti allargando lo sguardo alle previsioni contenute in sedi normative sub-costituzionali. Buona parte del capitolo è, naturalmente, dedicata al tema delle dimissioni del parlamentare, con – peraltro – un’interessante, inconsueta incursione nel periodo costituzionale transitorio e un approfondimento sul tema delle dimissioni dei senatori di diritto, anch’esso tema che risente di un’ellittica previsione costituzionale.
La trattazione prosegue quindi con le dimissioni dei membri della Corte costituzionale e del Cnel, ancora una volta portando alla luce la trascuratezza del legislatore a fronte, invece, di una prassi con tratti anche preoccupanti. Vengono peraltro segnalate una serie di clamorose assenze di disciplina delle dimissioni, che lasciano “scoperti “ organi del massimo rilievo: Consiglio Superiore della Magistratura in primo luogo, ma non solo.
Un ragionamento diverso è invece impostato dall’autore con riferimento alle cariche degli enti locali: qui il quadro delle previsioni legislative in tema di dimissioni è sin troppo ricco (pp. 94 ss.). Tale sovrabbondanza comporta tuttavia, al pari dell’assenza, un quadro poco confortante sul piano della certezza del diritto e quindi, va ricordato, quanto alla prevedibilità delle conseguenze di ciascuna azione.
Il terzo capitolo inizia – per così dire – a tirare le fila della riflessione, muovendosi appunto “tra inesistenza di un modello, ricerca del fondamento e individuazione dei possibili caratteri dell’istituto”. Dopo un supplemento d’analisi che riallarga lo sguardo a diverse fattispecie pubblicistiche anche di altra natura, l’autore pone alcuni punti di arrivo dell’indagine: anzitutto se nel diritto costituzionale debba esservi un’esplicita disciplina della materia delle dimissioni, per quanto con margini di flessibilità. La risposta è senz’altro affermativa per diversi ordini di ragioni, sia a tutela del soggetto ma – più ancora – a tutela del fondamentale principio di continuità dello Stato, che in concreto si realizza “in primis attraverso la copertura delle cariche in virtù delle regole legali e delle migliori scelte via via possibili in concreto”, e risulta per questo indispensabile un “passaggio di testimone” scevro di ambiguità.
A tale scopo, l’autore si spinge a delineare i profili essenziali di una (auspicabile) disciplina legislativa, in particolare forma, destinatario, aspetti procedurali ed effetti delle dimissioni. Tutto ciò direttamente irradiato – ed appare una tesi centrale nel lavoro – da una previsione costituzionale sovente negletta, l’art. 54, comma 2 Cost. (“I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”). Anzi, proprio tale previsione permette, per l’autore, di superare e comporre il conflitto fra dimensione “individuale” e “collettiva” dell’atto di spogliarsi di un potere “costituzionale”, imponendo “una speciale responsabilità nei confronti dei consociati, espressione di una sorta di dovere qualificato di fedeltà alla Repubblica” che porta alla necessità di esplicitare le motivazioni dell’atto, elemento che assurge “al ruolo di elemento realmente caratterizzante i connotati e l’operatività dell’istituto delle dimissioni nell’ambito del diritto costituzionale”.
Il quarto (e conclusivo) capitolo contiene due approfondimenti d’impressionante attualità, che mostrano come il tema delle dimissioni non incroci solo tematiche “classiche” ma anche, appunto, vicende che toccano il farsi – e disfarsi – quotidiano del potere pubblico. In primo luogo, le dimissioni di amministratori locali a seguito di intimidazioni: con una prosa che si fa particolarmente vivace, l’autore pone in luce i diversi aspetti di un fenomeno che – come egli stesso denuncia – meriterebbe ben altra attenzione di quanta ne riceva, in ogni sede. L’altro approfondimento è assai opportunamente dedicato al tema delle dimissioni che si vorrebbero in certi casi “obbligate” in taluni statuti di gruppi parlamentari: un tema che, al di là delle risibili pretese giuridiche, allarma quanto a disprezzo delle regole portanti della democrazia rappresentativa ed è infatti oggetto di critica.
Il libro rappresenta, dunque, un’occasione preziosa per riflettere da un punto di vista insolito sul potere pubblico, la sua natura e – soprattutto – i suoi scopi ed i suoi limiti.