«Noi siamo convinti che esiste una verità e tale verità è oggetto della ricerca scientifica». Ad affermarlo non è uno scienziato preso dal fervore della sua ricerca, tantomeno un filosofo positivista: è un passaggio dell’intervento che il Cardinale Angelo Bagnasco ha tenuto venerdì scorso a Perugia sul rapporto tra scienza e fede.
Forse potrà sorprendere qualcuno, ma non è affatto una novità che il magistero della Chiesa, superate le note difficoltà di quattro secoli fa, sostenga con decisione ed entusiasmo la scienza come genuino valore di conoscenza, di contemplazione e di uso della natura per il bene dell’uomo. E in questi quattrocento anni, la scienza moderna ha dimostrato di avere molte frecce al suo arco per lottare alla conquista dei segreti del mondo fisico in tutte le sue manifestazioni, dalle sfuggenti particelle elementari, alla complessità delle strutture biologiche, alla grandiosa evoluzione dell’universo nel suo insieme.
Ma con altrettanta chiarezza Bagnasco, anche qui in piena continuità con la tradizione cattolica, ha sottolineato il fatto che il metodo scientifico non esaurisce la possibilità di conoscenza di ciò che è reale. È la nostra stessa esperienza, del resto, a mostrarci che la ragione umana non si comporta come un monolite nella sua tensione a conoscere la realtà, ma utilizza approcci diversi a seconda dell’oggetto dell’indagine: «Alla differenziazione degli oggetti corrisponde una differenziazione dei metodi».
Non abbiamo bisogno di fare un’analisi chimico-fisica del DNA, ad esempio, per avere la conferma che è giusto che uomini e donne abbiano gli stessi diritti civili: è questa una verità filosofica. Così la scienza ci può dire qualcosa sul meccanismo geofisico che ha provocato lo tsunami in Giappone, e speriamo che un giorno (che purtroppo si preannuncia ancora lontano) sia in grado di fare previsioni che ci consentano di prevenire i devastanti effetti di questi fenomeni.
Ma di certo nessuna analisi scientifica potrà dirci qualcosa davanti al dolore delle madri che hanno perso i loro figli sulle spiagge di Sendai, o sul senso della vita di chi, come noi, è sopravvissuto. La scienza non sa rispondere alle domande brucianti e inevitabili sul significato ultimo delle cose e sul destino della singola persona: è questo il terreno della fede.
A questo punto normalmente si cambia registro e si dice che la fede non attiene al “conoscere” la realtà, ma al “credere” in qualche cosa. Essa quindi non avrebbe niente a che fare con la ragione e con il giudizio: saremmo nel campo della scelta arbitraria, del sentimento, della pura opinione. Bagnasco, invece, nel suo intervento, prende una via diversa: egli identifica la fede, nel suo livello basilare, con una forma o metodo particolare di conoscenza. «Ogni uomo vive di “fede”, più esattamente di “fiducia”: è infatti un atteggiamento di base, che appartiene alla vita stessa. Ognuno, per vivere, deve fidarsi degli altri, deve accettare moltissime cose senza verificarle di persona».
E in effetti è ragionevole affermare come vero qualcosa che afferma un altro, nel momento in cui abbiamo ragioni adeguate per stabilire la credibilità del testimone. «Si intrecciano il riferimento a qualcuno che conosce una cosa e che è persona qualificata e degna, la testimonianza della fiducia di altri, e, infine, una certa verifica nella nostra esperienza quotidiana».
Occorre naturalmente allenamento al giudizio e al senso critico per esercitare bene tale “conoscenza per fede”, nell’applicare la quale non siamo infallibili come del resto non lo siamo quando applichiamo altri metodi di conoscenza. Ma si tratta, continua Bagnasco, di «un fondamento senza il quale nessuna società potrebbe sopravvivere, e innanzitutto nessuna persona». In effetti, anche il procedere della scienza si appoggia pesantemente sulla capacità criticamente assunta di “conoscere per fede”. Sarebbe, infatti, impossibile, oltre che irrazionale e persino ridicolo, pretendere di ripetere direttamente tutti gli esperimenti e le osservazioni che altri hanno condotto prima di noi, invece che fidarsi del lavoro riportato da altri.
Il cammino della scienza si regge di fatto sulla credibilità dei suoi testimoni e delle realtà e strumenti a cui essi hanno dato vita proprio per sostenere, verificare e giudicare la propria credibilità (comunità scientifiche, peer review, valutazione, reputazione delle università, ecc.).
La chiarezza metodologica dell’intervento di Bagnasco è un aiuto a non lasciarci confondere dalle false riduzioni e contrapposizioni tra “scienza e fede” ancora oggi dilaganti. E consentono di porre la domanda: «Come la scienza e la fede, le due forme di approccio e di conoscenza della realtà, possono partecipare all’educazione integrale della persona?». Si tratta, osserva Bagnasco, di «educare l’uomo al gusto della verità, al rigore della ricerca, alla gratuità di fronte al reale».
Forse il principale valore educativo intrinseco delle discipline scientifiche è l’allenamento al rispetto per il “dato” così come si presenta all’esperienza: non si fa un passo senza la verifica appassionata nel confronto con i dati sperimentali e osservativi. Ma “l’educazione integrale della persona” non è un affare di tecniche didattiche e formative, e neanche di quantità di istruzione scientifica o teologica: essa è comunicata da un ambito umano e da testimoni in grado di suscitare l’attenzione profonda della persona. «Perseguire quest’opera significa mantenere ampi gli spazi della ragione umana, aiutarla a non restringersi in un orizzonte angusto seppur suo, quello della ragione strumentale che cerca solo il “come” non il “che cosa” della realtà».