È disponibile online da questa settimana il secondo numero della rivista Euresis Journal, che raccoglie le testimonianze di un gruppo di scienziati e studiosi di fama internazionale sul tema piuttosto insolito della creatività nella scienza (“Creativity and Creative Inspiration in Science”). Il dialogo con gli autori dei dieci articoli pubblicati è incominciato al Meeting di Rimini del 2008, e in particolare al Symposium di San Marino organizzato dall’associazione scientifica Euresis su questo tema, ed è proseguito in questi anni. Un dialogo che nell’entrare nel merito dei contenuti scientifici proposti non censura le grandi domande di scopo e di metodo che il lavoro di ricerca fa emergere. Oltre ad aver prodotto questi contributi di interesse scientifico è anche e soprattutto occasione di una trama di rapporti tra le persone che ne hanno preso parte.

È questa la natura e la singolarità di Euresis, di cui la rivista online è un recente frutto e uno strumento di condivisione. Il taglio di Euresis Journal è accademico (linguaggio rigoroso, lingua inglese), ma l’approccio interdisciplinare e i temi ad ampio respiro che vi si trattano fanno sì che la maggior parte degli articoli siano accessibili anche a lettori non specializzati – compresi studenti universitari, o magari liceali degli ultimi anni alle prese con la loro “tesina” per la maturità.

Ma che c’entra la creatività con la scienza? La conoscenza scientifica viene spesso percepita come un modo di conoscere le cose che non richiede il contributo creativo del soggetto umano, come invece avviene ad esempio nella letteratura o nella musica. Ma l’esperienza di chi è effettivamente impegnato nella ricerca mostra quanto riduttiva e inadeguata sia questa percezione. Che si tratti di ricercare pianeti extrasolari (vedi articolo di Dani Maoz) o di cogliere le evidenze dei mutamenti climatici (Richard Lindzen) o di indagare l’origine della vita sulla terra (Tommaso Bellini e collaboratori), la lotta dei protagonisti per conquistare un brandello di verità mostra chiaramente i tratti di un rapporto aperto e creativo con la realtà che si cerca di conoscere. Altri interventi, proposti da autori del calibro dell’astrofisico e storico dell’astronomia Owen Gingerich e del fisico Gino Segre, ripercorrono la genialità creativa di figure centrali nella storia della scienza come quelle di Johannes Kepler e Niels Bohr. Studiosi di discipline diverse come l’antropologo Alan MacFarlane, il fisico teorico Constantino Tsallis e il sociologo Rogers Hollingsworth affrontano direttamente il tema della creatività nella scienza, in un dialogo ideale che mostra tutta la vastità e la ricchezza del tema.  

Infine John Wood, figura di spicco dell’Imperial College di Londra, offre un originale affresco della prospettiva futura della ricerca scientifica e tecnologica in rapporto alla creatività della singola persona.

Da tutto ciò emerge non un discorso chiuso e finito, ma una serie di spunti originali e significativi da riprendere e sviluppare. La genialità e la duttilità di approccio richieste ai ricercatori, di oggi come di ieri, mostra come lo spettro di capacità razionali messe in campo dallo scienziato nella sua indagine sia, in realtà, ben più ampio della sola capacità logico-deduttiva, pur evidentemente necessaria. Ogni conoscenza implica un atto creativo perché essa non avviene come un automatismo cieco, ma come un rapporto tra un soggetto umano e il reale. E il primo passo della conoscenza – scientifica e non – è un atto di sottomissione della nostra ragione all’evidenza del “dato” così come esso si presenta alla nostra esperienza. Prescindendo da questo “istante di passività”, di contemplazione del reale per come è, la creatività diventa impossibile, e scade inesorabilmente nella palude dell’arbitrarietà e del non senso.