“Cos’è dunque il tempo? Se nessuno m’interroga, lo so; se volessi spiegarlo a chi m’interroga, non lo so” (Agostino, Le Confessioni, XI, 14). Profondo quanto sfuggente il tempo entra in maniera pregnante e pervasiva in ogni ambito dell’umana ricerca, dalla fisica alla psicologia, dalla filosofia alle neuroscienze; per questa sua unicità misteriosa è stato scelto come tema del Simposio Internazionale “The Nature of Time in Science and Human Experience”, organizzato a San Marino da Euresis in collaborazione con il Meeting di Rimini, la fondazione Ceur, l’Università degli Studi di San Marino e la Repubblica di San Marino.
In prima analisi il tentativo che noi uomini, immersi nel tempo, facciamo di comprendere il tempo stesso, potrebbe rassomigliare a un’immagine dello scrittore David Foster Wallace: «Ci sono due pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: “Salve, ragazzi. Com’è l’acqua?” I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa “Che cavolo è l’acqua?”».
O per completare il su citato passo di Agostino: «Questo però posso dire con fiducia di sapere: senza nulla che passi, non esisterebbe un tempo passato; senza nulla che venga, non esisterebbe un tempo futuro; senza nulla che esista non esisterebbe un tempo presente. Due, dunque, di questi tempi, il passato e il futuro, come esistono, dal momento che il primo non è più, il secondo non è ancora? E quanto al presente, se fosse sempre presente, senza tradursi in passato, non sarebbe più tempo, ma eternità. Se dunque il presente, per essere tempo, deve tradursi in passato, come possiamo dire anche di esso che esiste, se la ragione per cui esiste è che non esisterà? Quindi non possiamo parlare con verità di esistenza del tempo, se non in quanto tende a non esistere». (Agostino, Le Confessioni, XI, 15-17).
Non meno intrigante e profondo è l’approccio dalla fisica, come emergeva chiaramente dagli interventi dei cosmologi Paul Davies e George Ellis e del fisico teorico José Ignatio Latorre. Con la teoria della relatività infatti è caduta in fisica la nozione di tempo assoluto e il tempo è iniziato a scorrere in modo diverso per osservatori in moto l’uno rispetto all’altro. Con un’immagine pittorica si potrebbe descrivere questo passaggio dicendo che, se nella fisica newtoniana Dio ha in mano un orologio che segna un tempo uguale per tutti, nella fisica relativistica ogni osservatore misura il tempo di ogni evento che accade con un suo orologio e trova un suo valore, a priori diverso dagli altri.
Con un vincolo, però. Non si può invertire l’ordine di causa-effetto tra due eventi: se a un certo istante A spara un colpo di pistola contro un palloncino e lo fa scoppiare, due osservatori B e C, che si muovono rispetto ad A, possono discordare sull’istante esatto in cui il palloncino sia scoppiato, ma ciascuno non può dire che il palloncino sia scoppiato prima dell’istante in cui ha visto partire il colpo dalla pistola di A.
In relatività si passa cioè dal tempo come condizione per la causalità, alla causalità come aspetto più profondo e universale della struttura dello spaziotempo. Il tempo è relativo, ma la causalità rimane preservata. Spiegava il premio Templeton Paul Davies: “Il tempo è relativo, non soggettivo”. Interessante sarebbe anche il dibattito sulla causazione, cioè la modalità con cui una causa determina il suo effetto, su cui gli studiosi di meccanica quantistica vedono ancor’oggi diverse incompatibili scuole di pensiero.
Dall’approccio fisico, come potremmo fare dagli altri, pare di cogliere un paradosso: si può imparare come legare le sopra menzionate osservazioni temporali di osservatori in moto relativo, con gli orologi atomici si può misurare il tempo con precisione incredibile, si può studiare la relazione tra l’esistenza di una ‘freccia del tempo’ nei fenomeni naturali e le condizioni dell’universo dopo il Big Bang ma, ad ogni passo avanti che facciamo nel guardare al tempo, questo pare farne uno indietro lasciando intravedere una natura più profonda. Nelle ultime battute del Simposio Latorre osservava: “Ho da riflettere di più sull’essenza del tempo”.
Questo paradosso è forse legato al motivo per cui emergeva non esserci una via d’accesso privilegiata allo studio del tempo; la riflessione scientifica non è affatto superiore alla riflessione logico-filosofica o a quella psicologica sulla percezione del tempo, o a quella della linguistica o a quella delle neuroscienze. Non è questo il luogo per una sintesi completa dei contenuti del Simposio, per la quale si rimanda al prossimo numero di Euresis Journal.
Quello che è qui interessante sottolineare è la possibilità in atto di un approccio metodologico interdisciplinare. Interdisciplinare non nel senso del superficiale accostamento di discipline diverse ma, quasi al contrario, nel senso del prender atto dell’emergere di un unità che vien fuori dal fondo di ogni singola disciplina. «Ciò che motiva il nostro impegno in Euresis è la ragionevole speranza che le cose che studiamo abbiano senso non solo nel loro piccolo campo, ma che abbiano senso in una prospettiva globale, totale. E questo da una parte attiva una curiosità più grande, che non è quella particolare del proprio campo, d’altra parte consente sia di identificare nuove questioni, che di riformularne alcune in una maniera nuova, più interessante», diceva Marco Bersanelli in qualità di presidente del comitato scientifico di Euresis.
In quei giorni è stata ricorrente la domanda dal respiro totale circa la relazione tra il tempo della fisica, della scienza e la nostra esperienza di tempo. George Ellis, anche lui premio Templeton, introduceva la sua visione cosmologica espressa dalla sua teoria dell’Evolving Block Universe criticando la visione cosmologica deterministica secondo cui il futuro è già scritto sullo spazio-tempo e per questo “nulla di speciale può succedere” di essere in contrasto “con la nostra esperienza, quotidiana, con la biologia e con la psicologia”. Il suo Evolving Block Universe, tenendo conto sia della relatività generale che della meccanica quantistica, è invece uno spazio-tempo che “incorpora sempre più eventi e si concretizza man mando che il tempo scorre”.
Il nostro confronto con il tempo è diventato realtà nel Paleolitico superiore (50.000 – 10.000 a.C), periodo a cui risalgono le prime rappresentazioni di sequenze temporali. Come ha spiegato il Professore Emerito dell’University of California, Los Angeles (UCLA), Giorgio Buccellati «questo è un periodo di trasformazione delle umane categorie mentali con profonde implicazioni epistemiche, (…) per esempio la capacità di predire pattern ricorrenti». E’ inoltre interessante che non vi sia un’area del cervello dedicata alla percezione del tempo, come ricordava il linguista e neuroscienziato Andrea Moro.
Il professor Costantino Esposito, ordinario di Storia della Filosofia, osservava in conclusione del suo intervento: «Abbiamo percorso in questo breve itinerario un’intera costellazione di significati riguardo al tempo nel suo rapporto con la causalità. Abbiamo incontrato il tempo come misura del moto, il tempo come estensione dell’anima, come vita della coscienza, il tempo come esistenza. E probabilmente altri significati ancora si potrebbero aggiungere. Ma in conclusione possiamo notare che forse questi diversi significati possono incontrarsi e incrociarsi in una concezione del tempo come “avvenimento”. Non solo un evento databile sul calendario nel corso del tempo, o un vissuto qualitativo dell’io cosciente ed esistente, ma entrambe queste dimensioni originariamente unificate. Un tempo né cosmologico né psicologico, ma storico. Il tempo storico permette di intendere che il filo conduttore del tempo è la possibilità del significato».
Del resto che ne sarebbe del nostro tempo di uomini, cento anni per i più longevi, poco rispetto ai quattordici miliardi di anni dell’universo, se non ci fosse un momento di tempo che è autocoscienza? Che ne sarebbe del tempo umano se non fosse abitato da eventi che portano un significato?