Il modo migliore per celebrare questo Anno Internazionale della Luce (IYL 2015) è quello di partire … dall’inizio, ovvero da quel fiat lux, comunque lo si voglia leggere, che ha avviato l’avventura cosmica della quale tutti facciamo parte. Così ha preso forma l’idea di una conferenza scientifico-teologica proprio con questo titolo “Fiat Lux” o, per esprimerla nel latino contemporaneo che sarà lingua ufficiale del simposio: “Let there be light”.

A promuoverla ci sono anzitutto l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, l’Istituto Scienza e Fede, la Cattedra Marco Arosio di Alti Studi Medievali e lo STOQ Project insieme con l’Università “La Sapienza” di Roma e con il patrocinio del Pontificio Consiglio della Cultura; ma un nutrito pool di altre realtà culturali e di ricerca sono partner dell’evento che si svolgerà a Roma dal 3 al 5 giugno: come la Società Internazionale di Ottica e Fotonica, la Società Italiana di Fisica, l’associazione Euresis, la sezione italiana della Ieee Photonics, la Fédération Internationale des Sociétés de Philosophie.

La conferenza ospiterà gli interventi di due premi Nobel per la chimica: Ada Yonath (2009), che parlerà di luce e biologia, e Stefan Hell (2014), che illustrerà le meraviglie della nanoscopia; ma il panel dei relatori è di altissimo livello e comprende scienziati, filosofi e teologi, tutti interessati a un confronto e un dialogo finalizzato a “far luce” (il termine è spesso utilizzato anche nel parlare comune come sinonimo di conoscenza) in modo unitario su temi che possono coinvolgere tutti. Sarà interessante seguire i numerosi argomenti nei quali si declineranno le tre principali aree di interesse del tema “luce”: l’area delle scienze naturali, quella delle bioscienze e quella della comunicazione e delle arti. Ma a denominatore comune di tutte c’è la luce come protagonista fin dall’inizio della storia cosmica; come ha raccontato a ilsussidiario.net Marco Bersanelli, astrofisico dell’Università degli studi di Milano e membro del Comitato Organizzatore del convegno. « Ci sono due tipi di luce in natura: quella generata da tutte le sorgenti luminose nell’universo e quella generata dall’universo stesso a ridosso dell’inizio del suo tempo cosmico, circa 13,8 miliardi di anni fa. Questa luce primordiale, conosciuta come fondo cosmico di microonde (CMB), sopravanza ampiamente quella delle altre sorgenti (come le stelle, le galassie, i quasar ecc.) in quanto rappresenta il 95% della totale energia luminosa. Nei primi 10.000 anni dopo il big bang, quella antica luce ha dominato l’intero contenuto della materia-energia cosmica: il giovane universo era essenzialmente fatto di luce e il fondo cosmico di microonde che vediamo oggi non è che il residuo fossile di quella iniziale luminosità globale».

Bersanelli interverrà al convegno raccontando quello che oggi si conosce circa gli inizi di quel fantastico viaggio: «La radiazione del fondo cosmico di microonde è stata scoperta in modo casuale 50 anni fa da Arno Penzias e Robert Wilson ed è diventata da subito una straordinaria fonte di informazione per i cosmologi. I fotoni (cioè i quanti di luce) del CMB hanno viaggiato indisturbati per gran parte dell’età dell’universo e ci consegnano una impressionante e fedele immagine del cosmo bambino, quando aveva appena 380.000 anni e la sua temperatura era intorno ai 3000 gradi. Da allora l’espansione cosmica ha modificato le lunghezze d’onda del CMB di un fattore 1000, spostando il suo spettro termico dalla gamma del visibile a quella delle microonde. Oggi i nostri strumenti riescono a catturare fin nei particolari e con un dettaglio spettacolare quella luce primordiale e ci consentono di esplorare direttamente le condizioni fisiche dell’universo neonato». Le enormi potenzialità di indagine oggi a disposizione dei cosmologi vanno di pari passo con tanti altri straordinari metodi e strumenti che consentono di generare, manipolare e applicare la luce praticamente in tutti i campi della ricerca e in una enorme varietà di applicazioni. A Roma si parlerà di laser, di sensoristica, di strumenti nanoscopici, di fotosintesi artificiale, di metamateriali, di neurofotonica e molto altro.

Bersanelli presenterà degli strumenti che hanno consentito di “illuminare” l’infanzia dell’universo: «Recentemente, la missione spaziale Planck dell’ESA (l’Agenzia Spaziale Europea) ha mappato sull’intero cielo e con un livello di precisione mai ottenuto prima il fondo cosmico di microonde, sia in intensità totale che in polarizzazione. Le mappe di Planck mostrano con grande dettaglio le primordiali perturbazioni di densità che hanno agito come “semi” per la formazione delle strutture cosmiche che si sono evolute fino ad arrivare all’universo che ha ospitato la vita e che oggi osserviamo in tutta la sua bellezza».

Parlare della luce significa anche considerare la sua assenza, cioè il buio: come quello che ha avvolto l’universo poco dopo l’inizio del viaggio dei fotoni del CMB: «Via via che l’universo si espandeva – dice Bersanelli – si entrava in una fase di completo buio: è la cosiddetta età oscura del cosmo, durata circa mezzo miliardo di anni. L’analisi dei dati di polarizzazione che abbiamo potuto fare grazie a Planck, ha anche rivelato la “firma” dell’evento che ha posto fine a quel periodo oscuro e ha aperto una nuova prospettiva per la storia della luce nell’universo: è la nascita della prima stella».

Quest’ultima osservazione ci porta subito a pensare alla stella da cui tutti dipendiamo, al nostro Sole; e a tutte le conseguenze, teoriche e pratiche, che derivano dalla luce che ogni giorno ci invia: molte di queste conseguenze aprono interrogativi sui quali Bersanelli è fiducioso che le prossime giornate romane possano aprire spiragli “di luce”.