Steven Pinker, famosissimo linguista americano, si è lanciato in un lungo ragionamento sulla cultura woke sulle pagine del Boston Globe. Secondo lui altro non è che un modo per censurare e reprimere le divergenze, che finisce per schiacciare e polarizzare le opinioni del mondo, colpendolo proprio nel punto in cui la libertà di parola dovrebbe essere insindacabile: le università, luoghi culturali d’eccellenza.



Fulcro del ragionamento di Pinker sulla cultura woke è l’università di Harvard, vero e proprio baluardo del linguaggio inclusivo e anti razzista. Tra le cinque università migliori e più prestigiose al mondo, occupa infatti la 170esima posizione (su 203) della classifica sul free speech. Una deriva che preoccupa il linguista, perché “è la più antica e famosa della nazione e, nel bene e nel male, il mondo esterno prende atto di ciò che accade qui”. Secondo lui, infatti, “le università stanno reprimendo le divergenze di opinione, come le inquisizioni e le purghe dei secoli passati. Ci sono video virali di professori assaliti, esecrati, messi a tacere e talvolta aggrediti. E peggio ancora, per ogni studioso che viene punito, molti di più si autocensurano, sapendo che potrebbero essere i prossimi” colpiti dalla cultura woke.



Steven Pinker: “Anche gli studenti sono schiacciati dalla cultura woke”

Ma se la cultura woke colpisce gli accademici, spiega ancora Pinker, “non va meglio per gli studenti”, perché “la maggior parte afferma che il clima del campus impedisce loro di dire cose in cui credono“. Nei luoghi della cultura, preposti a capire e comprendere l’umanità e ciò che potrebbe essere meglio o peggio promuovere a livello, anche, sociale, si sta creando un vero e proprio circolo vizioso, che il linguista si azzarda anche a definire perverso.

“L’unico modo in cui la nostra specie è riuscita a imparare e progredire”, spiega Pinker parlando della cultura woke, “è attraverso un processo di congetture e confutazioni: alcune persone azzardano idee, altre provano se sono valide e alla lunga prevalgono le idee migliori”. Differentemente, il meccanismo perverso delle università si avvale di “un gruppo di attivisti disposto a non fermarsi davanti a nulla; un arsenale in espansione della guerra asimmetrica compresa la capacità di interrompere gli eventi, di radunare folle fisiche o elettroniche sui social e la volontà di infangare con accuse paralizzanti di razzismo, sessismo o transfobia; una burocrazia esplosiva e la riduzione della diversità politica dei docenti che minaccia di bloccare il regime accademico” in nome della cultura woke.