L’ESULE NORDCOREANA ATTACCA LA CANCEL CULTURE: “ATTENZIONE ALL’IDEOLOGIA IN OCCIDENTE”
Parlare della cultura “woke” e della “cancel culture” non sempre è sinonimo di appartenenza alla destra ultra trumpiana: come insegnano i tanti, troppi, casi di censura nel mondo anglosassone-americano – da Orwell a Joyce, da Churchill a Hemingway fino al più recente incredibile riscrittura di alcune parti dei romanzi di Roald Dahl per non urtare le sensibilità contemporanee – il problema della “woke culture” è tutt’altro che meramente politico. Lo spiega bene sul “New York Post” dello scorso 12 febbraio – citato oggi dal “Foglio del Lunedì” – una esule nordcoreana come Yeon-mi Park mettendo in guardia dal pericolo della cancel culture nelle università americane.
Ha disertato dalla Corea del Nord finendo come schiava del sesso in Cina finché è riuscita a scappare negli Stati Uniti dove dal 2022 è ufficialmente cittadina americana: il sogno della libertà e del pensiero libero si è però infranto con la realtà davanti a lei in questi ultimi anni. Park lancia così l’allarme contro cancel culture e il woke anglosassoni, ovvero quel tendente atteggiamento di dogmatismo intollerante e censorio, applicato nei confronti delle parole e delle idee teoricamente contrarie alle più moderne sensibilità progressiste sulle questioni delle minoranze e dei diritti civili. «Sono sfuggita all’inferno sulla terra e ho attraversato il deserto in cerca di libertà, e l’ho trovata. Non voglio che accada mai niente di male alla mia nuova casa… voglio che teniamo a bada l’oscurità», denuncia nel suo ultimo libro “While Time Remains” l’esule nordcoreana oggi americana. Parlando della sua università a New York, Park la descrive come un «campo di puro indottrinamento», con molti dei suoi compagni che stanno subendo «il lavaggio del cervello come gli studenti della Nord Corea».
“USA COME NORD COREA, WOKE OPPRIME LIBERTÀ COME SOCIALISMO”
Il ragionamento della esule è tanto intelligente quanto sottile perché analizza a fondo il tema della cultura woke non fermandosi ai meri cliché ideologici di destra o sinistra ma approfondendo il rischio di una libertà oppressa: «Hanno bisogno di creare un’ingiustizia dal nulla o un problema dal nulla, perché non hanno sperimentato nulla di simile a quello che stanno affrontando le altre persone nel mondo». Quando si pongono riflessioni su parole da non usare, espressioni da cancellare, statue del passato da abbattere, denuncia Park, «Quando diciamo alle persone di non parlare, censuriamo anche i loro pensieri. E quando non riesci a pensare, sei uno schiavo, un burattino a cui è stato fatto il lavaggio del cervello».
Per citare un esempio recente, l’’esule in Usa racconta come la cultura contemporanea progressista che descrive i bianchi solo come «privilegiati, colpevoli e oppressori» ricorda da molto vicino la «tattica usata dal regime nordcoreano per dividere le persone. In America è la stessa idea di colpa collettiva. Questa è l’ideologia che ha spinto la Corea del Nord a essere ciò che è oggi e la stiamo mettendo nelle menti dei giovani americani». Non capire tale pericolo e anzi rimanerne soggiogati è qualcosa da invertire al più presto secondo Park: «Non credo davvero che ci sia rimasto così tanto tempo. Già tutte le nostre principali istituzioni hanno la stessa ideologia della Corea del Nord: socialismo, collettivismo ed equità. Stiamo letteralmente attraversando una rivoluzione culturale in America. Quando ce ne renderemo conto, potrebbe essere troppo tardi».