Magistero della Chiesa e legge naturale
L’affermazione dell’esistenza della “legge naturale” appartiene alla tradizione cattolica dal suo stesso inizio ed è stata mantenuta nel corso dei secoli[i]. Per essa, non è stato un ostacolo neppure la radicale questione antropologica della Riforma e nemmeno, in un primo momento, il razionalismo moderno, che parlerà anche di religione e di morale naturale o razionale[ii].
La novità della negazione di questa “legge naturale” avviene dopo il cambio del regime politico che apre il XIX secolo, e che si imporrà nel corso di questo secolo. La risposta ecclesiale starà in nuove sintesi di diritto naturale di stile neoscolastico[iii].
Proprio in quest’epoca le questioni relative alla “legge naturale” cominciarono ad essere oggetto di trattamento magistrale, inizialmente da parte di Pio IX[iv] e in maniera decisa da Leone XIII[v] e Pio XI[vi].
L’appello alla legge naturale raggiunge un momento culminante con l’insegnamento di Pio XII, in risposta alla tragedia dei totalitarismi e della seconda guerra mondiale. Il Papa ricorderà in differenti occasioni che il criterio della giustizia è la legge inscritta dal Creatore nel cuore dell’uomo, che riceve la luce della ragione ed è confermata dalla rivelazione[vii].
Anche Giovanni XXIII presenta la “legge naturale” quale guida del giusto comportamento dell’uomo e dello Stato[viii], come fonte dei diritti essenziali dell’uomo[ix].
In continuità con ciò, il Concilio Vaticano II ricorda l’esistenza della “legge naturale”[x], ma senza insistere particolarmente su argomentazioni giusnaturaliste. La Gaudium et spes mette al centro la coscienza dell’uomo, nella quale risuona una legge inscritta da Dio[xi], sottolineando come la verità e il bene che la persona è chiamata a cercare per la sua stessa natura, la sua stessa dignità, si chiariscono solamente nell’incontro con Gesù Cristo, il figlio di Dio fatto uomo.
Paolo VI raccoglie questi insegnamenti conciliari sulla persona, e ribadisce anche il significato della “legge naturale”, particolarmente nell’enciclica Humanae vitae[xii]. Giovanni Paolo II presenta l’uomo come la creatura prima e unica, la cui grandezza si scopre solamente in Cristo e al cui servizio c’è tutta la proposta morale della Chiesa; in questo contesto il Pontefice propone un’ampia dottrina sulla “legge naturale”, sintetizzata nel Catechismo della Chiesa cattolica[xiii] e nel Compendio della Dottrina sociale della Chiesa[xiv].
La prima enciclica di Benedetto XVI ricorda anche che la Dottrina sociale della Chiesa «argomenta a partire dalla ragione e dal diritto naturale, cioè a partire da ciò che è conforme alla natura di ogni essere umano»[xv].
Così dunque, senza la necessità di fare un’analisi dettagliata del recente magistero, si può facilmente osservare come, in mezzo ai cambiamenti sociali e politici, nonostante le diverse obiezioni filosofiche, e spesso apertamente in contrasto con la mentalità dominante, la Chiesa non ha smesso di insistere sull’esistenza e l’importanza di questa particolare “legge” per la vita degli uomini e delle società.
Questa costanza del magistero non può essere intesa come la semplice continuità di una dottrina tradizionale, ma come una risposta pastorale che la Chiesa giudica imprescindibile di fronte alle sfide del tempo, nonostante le possibili incomprensioni.
Conviene, pertanto, chiedersi: che significa, in fondo, la sorprendente insistenza della Chiesa nel sostenere l’idea di una “legge naturale” in mezzo alle nostre società?
Superamento dell’idea di una “legge naturale”?
L’assunzione della ragione scientifica come «nuovo fondamento delle capacità umane in relazione con il mondo»[xvi] può essere situata nel XVII secolo. Si tratta di un assunto differente da quello proposto dalla tradizione della filosofia greca e dal messaggio della Chiesa. L’uso rigoroso e veritiero della ragione, secondo il metodo scientifico, renderebbe possibile all’uomo di far diventare trasparente ai suoi occhi il mondo, di conoscere e utilizzare la realtà, di dominare le circostanze della vita. In questo modo, egli otterrebbe una libertà nuova, si farebbe signore della propria vita nel mondo, signore di se stesso. I miracoli della scienza e della tecnica sembrarono confortare questa speranza.
L’insufficienza di questa speranza utopica nel progresso fu indicata fin dall’inizio da Pascal: nello scenario immenso dell’universo, oggetto della ragione scientifica, l’io si scopre insignificante, non riceve alcuna risposta sui motivi della propria esistenza[xvii]. L’utopia del progresso non considera le urgenze vitali dell’uomo che esiste realmente nel mondo.
Questo singolare paradosso si manifesterà ugualmente nell’applicazione di questo modo di intendere la ragione all’ambito sociale e politico. Anche qui si stabilirà l’uomo quale principio sufficiente e signore di se stesso, costituendo liberamente ogni vincolo sociale; ma in un modo in fondo “mitico”, non riferito all’uomo esistente nel presente. Ciò trova la sua espressione storicamente più influente nel pensiero di Hobbes[xviii] e, successivamente, con alcune variazioni, in Rousseau[xix]. Hobbes afferma che: non c’è niente a cui l’uomo non abbia, per natura, diritto; il diritto naturale è la libertà di ciascun uomo di usare il proprio potere a suo piacimento[xx]; la conseguente condizione di guerra di ogni uomo contro ogni altro uomo[xxi] si risolve per mezzo di accordi che generano diritti e culminano nel potere dello Stato[xxii].
Si esprime in questo modo un assioma antropologico centrale del pensiero descritto: l’uomo è un individuo sovrano e libero per il quale ogni vincolo può essere solamente il risultato di un accordo volontario: una sorta di “contratto”. L’astrazione di questo modo di considerare l’individuo, la singola persona, porta a concezioni mitiche dello stato originale dell’uomo in natura, che tendono a svuotare di contenuto il riferimento del sistema politico a una “legge naturale”, mentre offrono il fondamento teorico al potere dello Stato.
Questo paradosso, per il quale in nome del dominio umano si dimenticano le esigenze proprie della persona storicamente esistente, si manifesterà pienamente all’inizio del XIX secolo, in una filosofia idealista che sostiene radicalmente la libertà dell’uomo per poi assorbirla, tuttavia, nell’oggettività della realtà giuridica istituzionalizzata[xxiii].
Questo cammino ha portato al predominio del diritto storico positivo, soprattutto del diritto “naturale” o “razionale”, già considerato, circa a metà del XIX secolo, un semplice sogno vuoto. Il positivismo giuridico si imporrà generalmente a partire dalla seconda metà del secolo e, solamente dopo la straordinaria esperienza di ingiustizia e negazione della più elementare dignità umana che ha dovuto sperimentare l’Europa nella seconda guerra mondiale, avrà luogo una svolta decisiva nelle fondamenta del sistema politico verso una giustizia e una “legge naturale”, trascendente l’arbitrio del potere umano.
Il Concilio Vaticano II, che non volle limitarsi alla condanna del positivismo giuridico, sostiene, inoltre, la trascendenza della persona umana concreta, la cui dignità e libertà, ovvero i diritti fondamentali, non potranno mai essere ridotti ad un prodotto di nessun sistema giuridico[xxiv]. Insisterà, in particolare, sul significato della libertà religiosa e di coscienza di ciascuno, che non può essere impedita o costretta da nessun potere umano[xxv].
Nel centrare così l’attenzione sul significato unico e trascendentale dell’uomo, il Vaticano II si riferisce a ciò che era, fin dall’inizio, l’obiezione maggiore alle utopie della ragione “scientifica” moderna: l’assenza di considerazione e risposta all’uomo concreto, che deve realizzare la sua esistenza nel presente. In quel momento sembrava evidente l’impossibilità di accontentarsi di orizzonti utopici o mitici, soprattutto quando il richiamo ad essi, in versione nazionalista o rivoluzionaria, era servito a giustificare l’ingiustizia e il disprezzo dell’umanità. In effetti, per un certo periodo apparve con chiarezza il significato di una “legge naturale”, l’invito al riconoscimento da parte di tutto il sistema giuridico della trascendenza della dignità e dei diritti fondamentali dell’uomo, quale garanzia della sua legittimità[xxvi].
Attualmente, tuttavia, si sta generalizzando di nuovo la convinzione dell’insuccesso di questo rinascimento del diritto naturale. Si presuppone una conoscenza razionale della natura umana e si pretende di imporre, di fatto, una determinata concezione filosofica[xxvii]. Ma l’espressione normativa di una particolare concezione del mondo non può essere la base della convivenza in una società di tipo democratico e plurale.
Si proverà, di conseguenza, a percorrere cammini differenti per la costruzione della convivenza, evitando da un lato una “legge naturale” di cui già non si riconosce un’universalità, e dall’altro un positivismo giuridico i cui errori e pericoli sono già stati sperimentati ampiamente.
In questo senso, è degna di essere citata la proposta di Habermas[xxviii] che espone esplicitamente il problema: i fondamenti morali del diritto positivo da un lato non possono essere intesi come la supremazia di un diritto razionale; dall’altro però non possono neanche essere semplicemente liquidati. Propone, pertanto, di considerare il procedimento giuridico stesso come luogo in cui la razionalità morale si presenta all’ambito del diritto e della politica, garantendo il principio di imparzialità nella formazione di giudizi e decisioni. Il principio morale che deve essere presente nel procedimento è la partecipazione in libertà e uguaglianza di tutti gli interessati. Gli ordinamenti giuridici così prodotti, con procedimento democratico, ottengono legittimità.
L’argomentazione di Habermas ha il merito di rifiutare chiaramente il positivismo e di affermare la necessità dei fondamenti morali del diritto. Tuttavia, la sua identificazione della legittimità propria del diritto con un procedimento democratico, rispettoso della libertà e dell’uguaglianza di tutti, risulta essere più l’affermazione di un fatto che la sua spiegazione. La condizione per cui è possibile una democrazia realizzata è precisamente la salvaguardia, davanti al potere dello Stato, dell’uguale dignità, libertà e diritti fondamentali di ciascuno. In questo senso, si potrebbe dire che l’argomentazione di Habermas non esclude a priori un’adeguata comprensione della “legge naturale”; ma la sua reinterpretazione puramente procedimentale corre il rischio di avere minor difesa di fronte all’abuso di gruppi di potere o di fronte a un’assolutizzazione del sistema politico.
Una riduzione alla dinamica socio-politica della “legge naturale” è contenuta, ad esempio, nella «teoria del sistema sociale»[xxix], che la presenta come un momento all’interno dell’evoluzione della teoria giuridica fino all’attuale positivizzazionecompletadel diritto. Si tratterebbe, quindi, di un passo nel cammino dal diritto arcaico al moderno, positivo per aver introdotto una differenziazione che permetteva la critica e la correzione del diritto vigente. L’evoluzione culminerebbe, infatti, nell’attuale situazione occidentale secolarizzata, in cui la normativa giuridica tiene già conto dei rapidi cambi sociali, segue le esigenze della dinamica scientifica, tecnica ed economica di una società altamente complessa. L’assunzione di questa flessibilità giuridica si giustifica, perché la dinamica tecnico-economica libera l’uomo da molte schiavitù e gli offre nuove possibilità di azione.
In questo contesto, la stessa connessione democrazia-costituzione-diritti umani, in quanto espressione di un momento dell’evoluzione socio-giuridica, è relativizzata e dovrebbe essere, per le rigidezze che introduce nel sistema, lasciata indietro. Il diritto è legittimato dal suo servizio all’uomo, quindi serve alla sua libertà, ma senza vincoli come “soggetto” in senso classico. Se fosse conveniente, lo Stato potrebbe stabilire l’esistenza di diritti soggettivi, però su base positiva.
Queste posizioni arrivano alla loro formulazione più radicale in ciò che è stato definito «neopositivismo giuridico», che definisce il diritto come un principio che assicura il sufficiente equilibrio degli interessi presenti[xxx]. La ragione moderna, “scientifica” e neutra, capace di integrare il pluralismo, deve considerare i valori morali e gli ideali personali come preferenze e convinzioni “casuali” di individui e gruppi determinati, mancanti, quindi, di universalità. Un uso della ragione rigoroso e universale, con la pretesa di essere accettato da tutti, non potrà riferirsi a questioni soggettive, se non solamente al calcolo delle necessità o esigenze di soddisfazione espresse da esseri coscienti; questa sarebbe la via per la costruzione di norme giuridiche socialmente riconosciute.
Si privilegiano così coloro che possono difendere coscientemente le proprie necessità fondamentali, e il diritto si converte in strumento di imposizione dei propri interessi. Chi non può sostenere le proprie necessità biologiche, semplicemente non possiede diritti; tale potrebbe essere il caso dei non nati, ad esempio, e potrebbe non essere, invece, quello di alcuni animali[xxxi].
La riduzione della ragione all’oggettivo è completa, ed è accompagnata dalla piena coscienza del fatto che ciò implica anche la riduzione di ciò che è umanamente rilevante a dato biologico, in cui si riassume ogni valore morale.
La sfida continua a proporsi attorno agli stessi grandi nuclei, e ogni volta con maggiore evidenza: è urgente superare una concezione della ragione che si traduce in un puro strumentalismo e positivismo, se si vuole difendere il soggetto umano, la persona, la cui libertà e dignità finisce di essere fattore determinante in un sistema sociale definito dalla sua dinamica tecnico-economica ovvero, anche, direttamente biologica. Il paradosso di un uomo che teorizza la propria insignificanza nel nome della logica razionale del sistema, si risolve anche qui con un richiamo più mitico che razionale a un evoluzionismo naturalista come spiegazione ultima e globale della ragione e dell’universo.
Salvaguardia della persona come dimensione etico-giuridica decisiva
Il percorso realizzato voleva mostrare che l’insistenza della Chiesa nell’affermazione della “legge naturale” non cerca di universalizzare indebitamente una concezione particolare dell’uomo, ma di affermare la rilevanza radicale del soggetto, inteso come persona reale, responsabile della realizzazione della propria esistenza.
Le concezioni che si rifanno alla definizione moderna della ragione come dominio hanno preteso di porre l’uomo nel mondo come padrone, liberato da ogni dipendenza, e di rendere possibile la sua piena libertà. Ma hanno mostrato i propri limiti nella storia, e proprio su questa pretesa essenziale. È insufficiente definire la ragione come strumento di potere sulla realtà; ciò non tiene conto di tutte le dimensioni del reale né, di conseguenza, della relazione dell’uomo con il mondo, e così neanche dell’uomo stesso. Questo si manifesta nel tacere le iniziali pretese di questa impresa razionale, lasciando fra parentesi le esigenze dell’esperienza elementare dell’uomo concreto[xxxii].
L’affermazione della “legge naturale” arriva al cuore del dibattito moderno, rendendo noto che non è possibile dimenticare il soggetto storico originale, e, tanto meno, negare direttamente il suo significato. Come ogni sistema ideologico, anche ogni sistema socio-giuridico dovrà riconoscere che non può assolutizzarsi in se stesso, che è riferito a un fatto irriducibile, che è l’uomo reale.
Questa è la funzione prima della teoria della “legge naturale”: non è possibile sottomettere o negare il fatto irriducibile della dignità e della libertà dell’uomo in nessuna forma di sistema sociale e giuridico. Si tratta di un primo dato, non trascendibile per la volontà di ciascuno e per il potere politico[xxxiii].
Allora così, l’idea della “legge naturale” non considera solamente o in primo luogo il problema delle formule procedimentali di positivizzazione del diritto, ma innanzitutto il «riconoscimento del dato primo e indispensabile della persona, della libertà e dignità umana, come dimensione etico-giuridica decisiva»[xxxiv]. Qui è radicata da sempre una funzione essenziale di questa dottrina: salvaguardare la persona dinnanzi al potere statale e così, allo stesso tempo, fondare la legittimità dell’ordinamento giuridico.
L’insistenza sul significato della “legge naturale” non deriva quindi dalla volontà di introdurre un determinato concetto della natura umana. Al contrario, la Chiesa sostiene che non esiste nessuna elaborazione razionale che possa chiarire il mistero che è l’uomo per se stesso. Sarebbe sempre un errore, perciò, intendere il problema della “legge naturale” come quello del raggiungimento del sistema filosofico perfetto, con la vana speranza di ottenere così il consenso universale in una società plurale. Qualsiasi sistema è insufficiente ed è, invece, essenziale affermare, invece, il valore radicale della persona, che si esprime nella sua ragione e nella sua libertà, nel rispetto dovuto ai suoi beni essenziali.
Di conseguenza, il primo modo con cui la Chiesa favorisce il riconoscimento della “legge naturale” è la salvaguardia del dato intangibile della persona, la generazione di un soggetto originale cosciente della sua dignità e libertà, della sua irriducibilità. Ciò non si raggiunge perché ciascuno viene indottrinato a un modo di pensare, ma attraverso l’esperienza reale di verità e libertà propria di ogni fedele cristiano, di chi scopre in Cristo la grandezza del proprio essere e del proprio destino. Il dato irriducibile di questa esperienza impedisce definitivamente di accettare il fondamento della propria dignità o speranza personale in qualche ordinamento del potere umano, e permette di rispettare allo stesso tempo le esigenze di una positivizzazione giuridica. Di ciò ha dato testimonianza la vita della Chiesa cattolica dai suoi stessi inizi e precisamente prima di una delle forme statali più poderose della storia, caricata di ambizione di assoluto.
Nei fatti, l’esperienza della fede pone l’uomo in una relazione con la trascendenza, con Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, che fonda l’intangibilità della sua dignità e della sua libertà, non solamente in relazione a qualsiasi ordinamento giuridico, ma anche per la persona stessa, che le riconosce come dono del Dio creatore e salvatore[xxxv]. Ciò implica che l’uomo è chiamato a riconoscere la propria dignità o libertà, ma non le costituisce mai e tanto meno le costituisce per il prossimo e, di conseguenza, non può neanche perderle mai radicalmente né decidere che altri non le possiedano ancora[xxxvi]. Da qui la testimonianza perenne in mezzo alla società di questo nucleo trascendente in ogni persona, anche dinnanzi al nemico o al persecutore, ben oltre i condizionamenti morali e ideologici oppure della situazione sociale.
In modo simile, la stessa esistenza della Chiesa, stabilendo una differenza ineliminabile tra la società e lo Stato, impedirà sempre che questi si identifichi con l’espressione piena ed esaustiva della società. Anche in questo modo la Chiesa fa presente di fronte allo Stato l’irriducibilità del fattore personale e sociale da cui proviene ogni ordinamento giuridico. Da questo punto di vista, le esigenze intrinseche della “legge naturale” possono essere simbolizzate dal diritto fondamentale alla libertà di coscienza e alla libertà religiosa.
L’affermazione di questo significato dell’esperienza cristiana non riguarda le forme democratiche di una società plurale. Quindi, vivendo con chiarezza le proprie convinzioni, il cristiano non pretende di sostituire la fede alla ragione, ma di collaborare a una miglior percezione dei valori essenziali per la comune costruzione della giustizia e del diritto[xxxvii].
La vita del Popolo di Dio come affermazione della “legge naturale”
La proposta della “legge naturale” mette al centro l’importanza del soggetto originale. Sostenere l’esistenza di questa “legge” nella società contemporanea implica una prima opzione di metodo per la Chiesa: il protagonismo del Popolo di Dio[xxxviii], della vita cristiana realizzata in mezzo al mondo. Non si può sostituire la presenza di un’esperienza cristiana viva, di comunità credenti, dove prende forma un modello di vita che salvaguarda e realizza l’essere umano, in modo convincente, con intelligenza e capacità di comunicazione[xxxix].
Questo coincide con il più proprio della missione ecclesiale, dunque, «in realtà, quel profondo stupore riguardo al valore e alla dignità dell’uomo si chiama Vangelo, cioè la Buona Novella. Si chiama anche Cristianesimo. Questo stupore giustifica la missione della Chiesa nel mondo, anche, e forse di più ancora, “nel mondo contemporaneo”»[xl]. Si sottolinea così, allo stesso tempo, l’importanza della vita ecclesiale nella sua dimensione educativa, nel senso ampio della parola, come introduzione a una esistenza nella quale l’intangibilità della propria persona – l’essere figlio di Dio – non sia mai negata nel rapporto con la realtà.
La comunione della Chiesa appare così la prima forma di aiuto alla formazione della coscienza, il luogo concreto nel quale si rivela ed è reso possibile vivere in nuova pienezza il nucleo stesso della “legge – naturale – del cuore umano”, che è l’amore[xli]. D’altra parte, questa esperienza di vita nuova, la vita di santità, costituirà ugualmente il cammino più semplice e affascinante perché l’uomo percepisca la bellezza della verità morale, la forza liberatrice dell’amore di Dio che afferma definitivamente la dignità trascendente della persona[xlii].
Razionalità dell’esperienza storica del soggetto
La stessa presenza della Chiesa, come realtà umana viva e cosciente, capace di esplicitare e provare a comunicare la verità della propria posizione nel mondo, è un rifiuto permanente alla pretesa di negare la rilevanza del soggetto, sacrificandolo in qualche modo a un sistema socio-giuridico.
Allo stesso tempo sostiene la positività fondamentale dell’esperienza della persona concreta, la ragionevolezza della sua relazione con il mondo, principalmente attraverso i fatti.
Quindi, l’affermazione della “legge naturale” non implica solamente il riconoscimento dell’irriducibilità della persona concreta, ma anche una considerazione dell’esperienza umana, in cui possano unirsi storicità e razionalità. Non è possibile sostenere allo stesso tempo il significato del soggetto e l’insignificanza della sua esperienza storica.
Allo stesso modo, il rifiuto dell’importanza etico-giuridica dell’intangibilità del soggetto originale è solo una variante dell’antico assioma razionalista, «fatti storici casuali non possono essere mai la prova di razionali verità universali»[xliii], applicato in questo caso alla stessa presenza umana. Tuttavia, accettare questa importanza sarebbe profondamente coerente con una sana ragione scientifica, che non può smettere di valorizzare il dato sperimentale dell’esistenza umana[xliv], le cui esigenze elementari si fanno più evidenti quando l’uomo è costretto a soffrire l’ingiustizia, la violenza e l’oppressione.
La radicale messa in questione del significato di una “legge naturale” riflette in buona misura l’incapacità di integrare ragionevolmente le esigenze della trascendenza e dell’intangibilità della persona concreta, che sono reinterpretate con riferimenti mitici: il progresso, il nazionalismo, o un evoluzionismo naturalista inteso come filosofia radicale.
Conclusione
La stessa realtà della comunione ecclesiale costituisce la condizione di comprensibilità del richiamo cristiano alla “legge naturale”, poiché una Chiesa viva significa la presenza di un soggetto irriducibile, la cui dignità, libertà e coscienza trascendono ogni formalizzazione del potere umano e, in realtà , indicano il fondamento della sua legittimità.
La sua dinamica educativa, che insegna a non tacere le esigenze elementari dell’uomo – percepite chiaramente alla luce del Vangelo – risulta insostituibile affinché la proposta della “legge naturale” raggiunga una forma visibile all’interno della società, sia nella modalità di testimonianza positiva che di riflessione critica dinnanzi a realtà o sistemi di pensiero che mettono in pericolo il significato irriducibile del soggetto originale umano.
In questa maniera, la presenza viva della Chiesa significa una difesa permanente della “legge naturale”, come un dato di dimensione etica e giuridica decisiva. Non si tratta di imporre una propria concezione delle cose, né di recuperare privilegi del passato, ma di un gesto di responsabilità verso l’uomo; non dell’uomo astratto, ma proprio dell’essere umano e di ogni uomo reale, concreto e storico. La Chiesa non potrebbe abbandonare questa responsabilità senza rinunciare alla propria missione[xlv].


[i]  Cfr. P. Delhaye, Permanence du droit natural Nauwelaerts, Louvain 1960; W. Kluxen, Naturrecht; I. Philosophisch, in W. Kasper (a cura di), Lexikon für Theologie und Kirche, vol. 7, Freiburg im Bresgau, Herder 1998, pp. 684-688.
[ii] Cfr. F. Wagner, Naturrecht II. Neuzeitliche und evangelische Interpretationen seit der Reformation in AA.VV., Theologische Realenzyklopädie, W. de Gruyter, Berlin-New York 1994, vol. 24, pp. 153-185.
[iii] Cfr. L. Taparelli D’Azeglio, Saggio teoretico di diritto naturale appoggiato sul fatto, Palermo 1857.
[iv] Cfr. Pius P.P. IX, Syllabus, Roma 08/12/1864, nn. 56, 57, 61.
[v] Cfr. Leo P.P. XIII, Libertas praestantissima, Roma 20/06/1888; Leo P.P. XIII Rerum novarum, Roma 15/05/1891.
[vi] Cfr. Pius P.P. XI, Casti connubii, Roma 31/12/1930; Pius P.P. XI, Quadragesimo anno, Roma 15/05/1931; Pius P.P. XI, Mit brennender sorge, Roma 14/03/1937.
[vii] Così già dalla sua prima enciclica, Summi pontificatus, Roma 20/10/1939.
[viii] Cfr. Ioannes P.P. XXIII, Mater et magistra, Roma 15/05/1961.
[ix] Cfr. Ioannes P.P. XXIII, Pacem in terris, Roma 11/04/1963.
[x] Concilio Vaticano II, Dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa, Roma 07/12/1965, n. 14.
[xi] Concilio Vaticano II, Costituzione Pastorale Gaudium et spes, Roma 07/12/1965.
[xii] Acta apostolicae sedis 60 (1968), nn. 483, 487, 488, 489, 494; Fa una forte critica di questo uso della “legge naturale” H. Küng, Infallibile? Una domanda, Anteo, Bologna 1970.
[xiii] Catechismo della Chiesa cattolica, Libreria editrice vaticana, Roma 2005, nn. 1954-1960, 1978-1979.
[xiv] Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, Libreria editrice vaticana, Roma 2004, nn. 140-143.
[xv] Benedictus P.P. XVI, Deus caritas est, Roma 25/12/2005, n. 28a.
[xvi] H. G. Gadamer, Los fundamentos filosóficos del siglo XX, in G. Vattimo (a cura di), La secularización de la filosofia, Gedisa, Barcelona 1992, p. 91.
[xvii] Cfr. B. Pascal, Pensées, edizione curata da L. Brunschvicg, Paris 1897, nn. 205-206.
[xviii] Cfr. T. Hobbes, Leviathan: On the Matter, Form and Power of a Commonwealth Ecclesiastical and Civil, 1651.
[xix] J. J. Rousseau, Du contrat social,Amsterdam 1762.
[xx] Cfr. T. Hobbes, Leviathan: On the Matter, Form and Power of a Commonwealth Ecclesiastical and Civil, cit., cap. 14.
[xxi] Ibid., c. 13.
[xxii] Ibid., c. 15.
[xxiii]Cfr. G. W. F. Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, Meiner, Hamburg 1995.
[xxiv] Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione Pastorale Gaudium et spes, cit., nn. 40c, 42, 76, 89.
[xxv] Concilio Vaticano II, Dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa, cit., nn. 2, 3.
[xxvi] Cfr. A. M. Rouco Valera, Los fundamentos de los derechos humanos: una cuestión urgente, San Pablo, Madrid 2001.
[xxvii] Una presentazione sintetica delle obiezioni alla “legge naturale” in F. D’Agostino, Il diritto come problema teologico ed altri saggi di filosofia e teologia del diritto, Giappichelli, Torino 1997, pp. 171-195.
[xxviii] Cfr. J. Habermas, Die Einbeziehung des Anderen. Studien zur politischen theorie, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1996, pp. 289-300; J. Habermas, Faktizität und Geltung. Beiträge zur Diskurstheorie des Rechts und des demokratischen Rechtsstaats,Suhrkamp, Frankfurt am Main 1994, pp. 541-599; J. Habermas, Naturalismus und Religion, Suhrkamp, Frankfurt am Main 2005, pp. 106-118.
[xxix] Cfr. N. Luhmann, Ausdifferenzierung des Rechts. Beiträge zur Rechtssoziologie und Rechtstheorie, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1999.
[xxx] Cfr. P. Singer, Practical Ethics, Cambridge University Press, Cambridge 1993; P. Singer, How are We to Live? Ethics in an Age of Self-Interest, Oxford University Press, Oxford New York 1997.
[xxxi] N. Hoerster, Abtreibung im säkularen Staat. Argumente gegen den 218, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1991. H. Kuhse, P. Singer, Muß dieses Kind am Leben bleiben? Das Problem schwerstgeschädigter Neugeborener, Harald Fischer Verlag, Erlangen 1993.
[xxxii] Con la categoria «esperienza elementare» Scola presenta la “vena profonda” del magistero di Giovanni Paolo II sulla persona in A. Scola, L’esperienza elementare. La vena profonda del magistero di Giovanni Paolo II, Marietti 1820, Genova 2003.
[xxxiii] J. Römelt, Menschenwürde und Freiheit. Rechtsethik und Theologie des Rechts jenseits von Naturrecht und Positivismus, Herder, Freiburg im Bresgau 2006, pp. 161-166.
[xxxiv] Ibid., p. 176.
[xxxv] Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione Pastorale Gaudium et spes, cit., nn. 12, 19a, 22, 40c, 41; Ioannes Paulus P.P. II, Evangelium vitae, 25/03/1995, nn. 80-82.
[xxxvi] Cfr. Ioannes Paulus P.P. II, Evangelium vitae, cit., nn. 87, 101.
[xxxvii] Cfr. J. Ratzinger, Werte in Zeiten des Umbruchs. Die Herausforderungen der Zukunft bestehen,Herder, Freiburg im Bresgau 2005, Europa, relativismo, cristianesimo, islam, Mondadori, Milano 2005, pp. 116-122. p. 137; J. Ratzinger, Lettera a Marcello Pera, in M. Pera, J. Ratzinger, Senza radici.
[xxxviii] Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen gentium sulla Chiesa, Roma 21/11/1964, cap. II.
[xxxix] Su questo insiste J. Ratzinger, Lettera a Marcello Pera, cit., pp. 109-114; J. Ratzinger, L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture, Cantagalli, Siena 2005, pp. 63-65.
[xl] Ioannes Paulus P.P. II, Redemptor hominis, Roma 04/03/1979, n. 10b.
[xli] Cfr. Ioannes Paulus P.P. II, Veritatis splendor, Roma 06/08/1993, nn. 9, 64.
[xlii] Ibid., n. 107.
[xliii] Cfr. G. E. Lessing, Über den Beweis des Geistes und der Kraft, in G. E. Lessing, Die Erziehung des Menschengeschlechts und andere Schriften, Reclam Verlag, Stuttgart 1965.
[xliv] Cfr. J. Ratzinger, Svolta per l’Europa? Chiesa e modernità nell’Europa dei rivolgimenti, Edizioni paoline, Milano 1992; J. Ratzinger, Glaube, Wahrheit, Toleranz. Das Christentum und die Weltreligionen, Herder, Freiburg im Bresgau 2005,pp. 182-183; J. Ratzinger, Werte in Zeiten des Umbruchs : die Herausforderungen der Zukunft bestehen,Herder, Freiburg im Bresgau, p.27.
[xlv] Ioannes Paulus P.P. II, Centesimus annus, Roma 01/05/1991, n. 53.