I dissidenti ci hanno insegnato a resistere al nichilismo, diceva Glucksmann nell’intervista a Il Giornale (3.10.2008), citando la figura del filosofo-dissidente ceco Jan Patocka (1907-1977), agnostico, firmatario dell’iniziativa civile “Charta77” e morto in seguito agli estenuanti interrogatori cui fu sottoposto dalla StB, la polizia politica del regime comunista cecoslovacco. In un’intensa lezione che tenne clandestinamente a Praga l’11 aprile 1975, dedicata alla differenza tra l’uomo spirituale e l’intellettuale, delineò una sorta di itinerario esistenziale che aiutasse a costruire positivamente anche in una situazione dominata da un’ideologia totalizzante.
Patocka parte da una constatazione apparentemente banale: «Vi sono esperienze che mostrano la straordinarietà della nostra situazione, cioè che soprattutto ci siamo e che il mondo c’è; e questo non è ovvio, è qualcosa di estremamente stupefacente che le cose ci si rivelino e che noi siamo in mezzo a loro. È stupefacente; in questa parola è contenuto lo stupore. Stupirsi significa non accettare nulla come ovvio. Materialmente il mondo resta uguale a prima, le medesime persone, le medesime stelle, e tuttavia c’è qualcosa di completamente cambiato». Le difficoltà che contraddicono questo approccio positivo «dimostrano che la vita che appariva così ovvia, in realtà è piuttosto problematica, che qualcosa non è in ordine. La nostra posizione originale è che sia in ordine e che sia possibile sorvolare sulle incongruenze… Ma se dovessimo realmente seguire fino in fondo la negatività che ci interpella all’improvviso, ci accorgeremmo che il nulla è incapace di parlarci, di spingerci ad agire, e di conseguenza rimarremmo nel vuoto, irretiti in una sorta di vacuità… Non è irrilevante che nella filosofia regni qualcosa che potremmo definire nichilismo, ossia l’idea non tanto che la vita e il mondo siano problematici, quanto piuttosto che il significato e la risposta a questa problematicità non solo non sono stati trovati ma che non si possano trovare, che il nihil sia l’ultimo risultato». «Ma così non si può vivere!», esclama l’anziano filosofo: «E’ proprio qui che inizia la vita spirituale… L’uomo spirituale è colui che è in cammino. Conosce le esperienze negative e le medita, a differenza dell’uomo comune che cerca di dimenticarle o ha già la ricetta pronta».
Per Patocka la problematicità della vita non è un’obiezione, bensì il punto di partenza per un’ascesi che porta a prendere posizione nel quotidiano: «L’uomo spirituale capace di sacrificio non deve aver paura… Egli è in un certo senso politico, e non può non esserlo proprio perché dimostra pubblicamente l’imprevedibilità della realtà», ossia «rompe il sistema, e la sua testimonianza è motivo di resistenza e di cambiamento».
Che tutto questo per Patocka e per altri «uomini in cammino» del blocco sovietico avesse implicazioni pratiche e non rimanesssero sofismi, lo si vide nell’esperienza del dissenso. Quando Havel gli chiese di assumersi il ruolo di portavoce di Charta77, Patocka esitò a lungo perché sapeva che si trattava di qualcosa che per lui, docente pensionato dal regime, poteva essere molto rischioso. Poi, una volta presa la decisione, si dedicò completamente a Charta77 esponendosi pubblicamente. Ricorda ancora Havel come, durante il suo ultimo incontro con lui, in prigione in attesa dell’interrogatorio, Patocka si fosse messo a improvvisare una lezione sulla storia dell’idea dell’immortalità umana e dell’umana responsabilità. In un’altra occasione, parlando del futuro di Charta77, disse che «oggi la gente sa nuovamente che esistono cose per cui val la pena soffrire, e che le cose per cui eventualmente si soffre sono quelle per cui val la pena vivere».
Agli inizi del marzo ‘77, dopo un incontro informale tra Patocka e il ministro degli esteri olandese Max van der Stoel, il regime comunista intensificò la pressione. L’anziano maestro venne ripetutamente convocato dalla polizia. Dai verbali traspare la dignità e l’integrità della sua posizione, persino la lingua e lo stile sono esemplari perché era lui a dettare le risposte. Colpito da infarto, il 13 marzo morì in ospedale. Le autorità, temendo che il funerale potesse sfociare in una manifestazione pubblica, condussero un’inaudita operazione di disturbo e sorveglianza. Tuttavia al cimitero dell’antico convento di Brevnov presenziarono «500 persone, in maggioranza giovani», come si legge nel rapporto della StB.
Un anno dopo Havel, con il Potere dei senza potere, opera dedicata proprio a Patocka, ne riprese le tematiche alla luce dell’esperienza diretta del dissenso.