Padre Michele Piccirillo, morto il 26 ottobre scorso all’età di 64 anni, aveva un desiderio: riposare al Monte Nebo, in Giordania, dove aveva lavorato per tanti anni, mettendo in pratica ogni giorno il suo mestiere di archeologo e la sua vocazione di frate minore della Custodia di Terra Santa, che lo ha condotto a farsi esploratore dei segni della Rivelazione nelle pietre calpestate dai profeti e dal Figlio di Dio in persona. Padre Piccirillo desiderava essere sepolto accanto al Memoriale di Mosé che, in oltre trent’anni di lavoro, aveva scavato pietra per pietra, portando alla luce gli antichi e preziosi mosaici. E così è stato.



L’ultimo saluto i confratelli, gli amici arrivati da ogni dove, le autorità civili, glielo hanno dato sabato primo novembre. La giornata era iniziata nella capitale giordana Amman, nella chiesa affollata della Vergine Maria a Sweifeh. Qualche giorno prima, a Roma – il 29 ottobre esattamente – presso la basilica di Sant’Antonio, era stato celebrato un primo funerale. Al Nebo, luogo della sepoltura, si è celebrato il rito dell’ultimo addio con la gente che lo aveva amato e che aveva condiviso assieme a lui la straordinaria avventura della ricerca archeologica in molti luoghi del Medio Oriente. Una cerimonia semplice e sobria, presieduta dal patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal, insieme al Custode di Terra Santa padre Pierbattista Pizzaballa, sotto la grande croce di ferro del Giubileo del 2000 di fronte alla chiesa bizantina che finalmente – grazie agli sforzi di padre Michele – avrà tra non molto un tetto dignitoso per proteggere i preziosi mosaici.



Ora che padre Michele Piccirillo riposa sotto un albero frondoso nella pace del Nebo, di lui resta la mole enorme di scritti (era un instancabile divulgatore) e il lavoro realizzato. Un patrimonio che chiede di essere valorizzato e un’opera che serve ora proseguire. Ma soprattutto di lui deve restare la passione per le pietre vive, per la presenza cristiana in Terra Santa. Amava spesso ripetere agli amici il senso del suo impegno: trovare le tracce del passato significava rafforzare la fede nel presente. Nella Palestina tanto provata da dolori e sofferenze, l’archeologia diventava insomma anche il modo per aiutare le comunità cristiane a perseverare, proprio nel nome della fede tramandata dai Padri.



Padre Michele Piccirillo era nato a Casanova di Carinola (Caserta) il 18 novembre 1944. Docente di storia e geografia biblica presso lo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, si era laureato in archeologia a Roma. Tra le sue opere ricordiamo Vangelo e Archeologia. Tracce cristiane in Palestina, Milano 1998; (con E. Alliata), Mount Nebo. New Archaeological Excavations 1967-1997, Jerusalem 1998; Il Viaggio del Giubileo. Alle radici della fede e della Chiesa, Edizioni Custodia di Terra Santa, Jerusalem 2000; The Mosaics of Jordan, in B. MacDonald-R. Adams-P. Bienkowski (eds), The Archaeology of Jordan, Sheffield 2001, pp. 671-676; Io Notatio Nicola De Martoni. Il pellegrinaggio ai Luoghi Santi da Carinola a Gerusalemme 1394-1395, (SBF Collectio Maior 42), Jerusalem 2003. Pochi mesi va aveva pubblicato La nuova Gerusalemme. Artigianato palestinese al servizio dei Luoghi Santi (Edizioni Terra Santa/Velar) e La Palestina cristiana (Edb, Bologna).

Tra le testimonianze più autorevoli del suo lavoro di studioso, ricordiamo le parole che il Presidente della Repubblica Carlo A. Ciampi gli scrisse il 19 febbraio 2001, all’indomani di una visita al Monte Nebo: «La ringrazio per averci ricevuto alla Missione Francescana del Monte Nebo e di averci guidato nella visita al Memoriale di Mosè, alla chiesa e alla Missione Archeologica. Nessuno di noi ha potuto sottrarsi alla suggestione della memoria biblica e del messaggio contemporaneo di pace e di speranza che ci trasmette, oggi più necessario che mai. A settant’anni dall’inizio degli scavi sul Monte Nebo, la Missione archeologica francescana ha ridato vita ad una pagina della Storia Sacra che è alle origini della civiltà cristiana. Visitare il Monte Nebo è guardare a radici che conoscevamo ma credevamo invisibili e sepolte. La riscoperta del sito che si protende verso la valle del Giordano e il Mar Morto, di fronte a Gerico e a Gerusalemme, ha un significato profondo per chiunque. Credente o no. Vi convergono le tradizioni delle tre grandi fedi monoteiste, a testimonianza di un retaggio comune che ci deve spingere al rispetto reciproco e alla comprensione».

L’amore per la Terra Santa, per le «pietre vive», ha spinto padre Michele a farsi sempre ambasciatore di pace e dialogo tra le genti e le culture. Un impegno che considerava importante tanto quanto la ricerca scientifica. «Fu uomo di dialogo con i musulmani e con gli archeologi ebrei che conosceva e con i quali discuteva spesso – ha ricordato padre Frederic Manns, direttore emerito dello Studium Biblicum di Gerusalemme, nell’omelia al funerale di Roma – la vocazione di Gerusalemme è di fare di due popoli un solo popolo di figli di Dio. Essere figlio di Dio significa rispettare l’altro, la sua cultura, le sue tradizioni. Padre Michele, da esperto archeologo, criticava spesso la falsa archeologia che cerca solo scoop televisivi. Ogni anno – scriveva – siamo di fronte a qualche falso ritrovamento importante. Ma sono solo cose commerciali senza fondamento scientifico. Oggi i luoghi della predicazione di Gesù sono teatro di guerra, incomprensione, ostilità, chiusura. Luoghi sacri alle tre religioni monoteiste unite e al tempo stesso divise da quel lembo di terra così arido e così spirituale. In questo contesto padre Michele ha voluto seminare la pace di Cristo».