Il convegno promosso dalla Fondazione Pubblicità e Progresso e dall’Università Statale di Milano propone una questione, quella del dono, oggi variamente presente nei linguaggi della nostra società, anche con aspetti paradossali.

Da un lato viviamo in una mentalità individualistica, egoista e consumistica che ha pochi riscontri in altre epoche, dall’altro lato il dono è curiosamente presente nelle comunicazioni mediatiche ed anche nelle convinzioni etiche che diventano mentalità corrente. Siamo attorniati da appelli a donare: donare il sangue, donare per la fame nel mondo, donare per la ricerca ecc.



Sembra perciò molto opportuno porre degli interrogativi su che cosa sia il dono e su che cosa accada quando si doni o si pretenda donare. Tali questioni saranno affrontate in quattro giornate a partire dal 26 novembre da vari punti di vista: della filosofia, della psicologia, dell’economia, della comunicazione.

Che cosa significa donare? Consegnare qualcosa a qualcuno senza ricevere nulla in cambio? Ci sarebbe perciò un nesso essenziale fra il dono e il gratuito? Tuttavia il dono spesso si pone, e si è posto certamente in molte società antiche, come un modo più raffinato ed efficace di affermare un prestigio e un potere, mostrandosi superiori agli altri, talvolta fino all’umiliazione.



D’altra parte nella reciprocità, fosse anche solo immaginaria, del dare e del ricevere si gioca una questione cruciale per l’esistenza stessa ed il funzionamento dei legami. Se dare e ricevere sono gli aspetti istitutivi del dono allora, ed è su questo che verterà forse il principale interesse del convegno, si tratta di spostare l’attenzione dalle cose che si donano a chi è il donatore e a chi è il destinatario del dono.

Infatti nell’esperienza del donare io comunque suscito l’altro che è evocato e coinvolto nel mio gesto. Da un altro punto di vista non potrei donare se l’altro, amico o avversario o vicino, non mi suscitasse lui stesso, come movente del mio desiderio o della mia domanda.



Tali problemi sembrano diventare esplosivi se al posto della dinamica io-tu sostituiamo la dinamica di dare e ricevere come confronto e scambio fra soggetti che sono popoli, culture e confessioni religiose diverse.

L’esperienza della alterità sembra qui interpellare il soggetto nella concezione stessa della sua identità: identità per cui forse parole come dialogo, tolleranza, coesistenza sono inadeguate a descrivere un aspetto non proprio del dono, misterioso e attivo, che è all’opera e che spiazza i soggetti di questo non dominabile e ingestibile scambio.