Cito da un articolo di Claudio Magris su Il Corriere della Sera del 12 dicembre: «La fede, a differenza di tante ideologie, impedisce di innalzare falsamente ad assoluto qualsiasi realtà umana, storica, sociale, politica, morale, religiosa ecclesiastica; essa è una difesa contro ogni idolatria e dunque contro ogni totalitarismo che si presenta sempre come un (falso) assoluto, un idolo che esige cieca obbedienza e magari sacrifici di sangue». Ben detto. Se per fede si intende l’apertura religiosa al mistero, all’assoluto, non si può non concordare sul fatto che essa rappresenta la miglior garanzia per evitare il totalitarismo idolatrico. Il totalitarismo della propria idea relativistica, per esempio. L’uomo autenticamente religioso, infatti, accetta di «inginocchiarsi solo dinanzi all’assolutamente Altro» perché questo «aiuta a non inginocchiarsi davanti a ogni potere che pretende di essere Dio o il suo unico autorizzato rappresentante o di parlare in suo nome». Ben detto anche questo. E pure ciò che segue: «I fondamentalismi di ogni genere – anche e soprattutto quelli religiosi, di ogni religione e di ogni Chiesa, nessun esclusa – sono spesso i primi a commettere peccato di blasfemia e violenta idolatria».
C’è però qualcosa che non va nel ragionamento di Magris. Più che esplicitato è qualcosa che si insinua tra le righe e fa capolino nei silenzi. Prima di tutto lo strano parallelismo che lo scrittore istituisce tra Gesù e Buddha, i quali «non sono venuti a fondare una religione, perché già allora ce n’erano troppe, bensì a cambiare la vita». Su Buddha non sono esperto, ma sono d’accordo sul fatto che Gesù non abbia fondato una religione. Ma cosa significa che è venuto a «cambiare la vita»? Forse che ha lasciato degli insegnamenti morali molto elevati? Per di più degli insegnamenti di fronte ai quali egli stesso si sarebbe smarrito – lo «smarrimento che Gesù ha provato nel Getsemani» -, smarrito come qualunque uomo che si trova di fronte all’assoluto inconoscibile?E no, uno così non mi cambia veramente la vita; semplicemente mi ripropone, magari in termini più acuti, la mia stessa impotenza di fronte al mistero. E, infatti, la parabola storica di Gesù non si è fermata al Getsemani, ma è arrivata fino al mattino di Pasqua. E di questo ogni cristiano è indubitabilmente certo come di una verità. Ma viene il sospetto che questo solo semplice atto di fede (fede ragionevole, basata su credibili testimonianze) verrebbe bollato da Magris come fondamentalismo. E infatti, dopo le frasi sopra riportate dice che esse si adattano alla polemica suscitata dalla denuncia di Benedetto XVI contro il relativismo. Magris non aggiunge altro e passa a commentare un volume sul tema. Ma sembra di capire che per lui l’unica alternativa totalitarismo religioso sia appunto il relativismo. Con ciò il cristianesimo sarebbe definitivamente condannato. A meno che rinunci del tutto ad affermare che Cristo è Dio, cioè l’assoluto, il mistero diventato uomo, che egli «è la verità» e che il popolo da lui nato ne continua la pretesa nella storia. Rinunci, in definitiva, alla sua essenza. È lo scandalo che il cristianesimo suscita da duemila anni e per il quale da duemila anni è frainteso. Anche dai relativisti.