Una vita passata a “studiare” il continente, il suo continente, una produzione letteraria enorme quella dell’uruguaiano Alberto Methol Ferré, che finalmente approda in un sito internet a disposizione di tutti. Soprattutto una visione originale dell’America Latina, rigorosa, messa a punto negli anni e sempre in dialogo con il contesto più vasto del pianeta e dei suoi cambiamenti.
Nelle analisi di Methol Ferré c’é il respiro del mondo. Non a caso Methol Ferré è nato e vissuto in un porto, meglio, in un paese, l’Uruguay, dove il porto era tutto quando l’Uruguay godeva della prosperità che gli derivava dalla ricostruzione post-bellica europea. Un porto, cioè una frontiera da cui guardare “il resto”.
La vita di Methol Ferré ha avuto molto a che fare con il porto. Dell’Amministrazione generale del porto di Montevideo è stato alto funzionario per molto tempo, nonché membro dell’Accademia di storia marittima e fluviale dell’Uruguay. Dal porto si ritira nel 1988 dopo aver solidarizzato con uno sciopero generale contro il golpe militare, quando non era salutare farlo. I porti, si sa, sono dei crocevia formidabili. Di genti, di idee, di traffici. Nei porti i confini sono sempre in movimento.
Vero è che il pensiero di Methol Ferré si è staccato rapidamente dal minuscolo pezzo di America Latina chiamato «rio dei pesci» in lingua guaranì, per veleggiare verso orizzonti lontani: la cultura francese, quella spagnola di fine Ottocento, la tedesca. Methol Ferré assimila e immagazzina tutto con singolare proclività negli anni della gioventù, torna a ruminare il pensiero del Novecento spagnolo e germanico nella maturità. Tutto come autodidatta, un autodidatta della conoscenza, un divoratore di libri avido e insaziabile, un sintetizzatore incline alle grandi visioni geopolitiche.
Nel 1955 fonda una rivista che sin dal nome «Nexo», che sintetizza un intero programma: creare, per l’appunto, nessi, vincoli tra nazione e nazione, intrecciare legami e storie tra pensatori di paesi diversi del sudamerica. L’orizzonte della riflessione di «Nexo» diventa rapidamente l’intera America Latina, quell’America Latina frantumata dalla nascita delle repubbliche indipendenti ed embrionalmente ripensata come unitaria dai Rodò, Vasconcelos, Ugarte, Fombona, Pereira, Calderón, una generazione – il ‘900 latinoamericano – a cui Methol Ferré si richiama a ogni piè sospinto. «Nexo», il primo «Nexo», chiude i battenti nel 1958.
Nel 1967 Methol Ferré viene invitato a integrare la direzione di un’altra rivista: «Vispera». Il nome, anche in questo caso, sintetizza la spinta ispiratrice della pubblicazione e gli scopi programmatici. Il Vaticano II, concluso a Roma da alcuni anni, è all’ordine del giorno in America Latina. La Chiesa del continente deve riepilogarne gli apporti in vista della sua seconda Conferenza generale, prevista per il mese di agosto dell’anno successivo, il 1968. Una vigilia, appunto, che «Vispera» si propone di interpretare e chiarire. A «Vispera» collabora assiduamente fino al 1975. Quanto basta per accrescere la propria autorità nel mondo intellettuale cattolico latinoamericano ed essere notato dalla gerarchia ecclesiale del continente.
Nel 1969 gli giunge la proposta di integrare il Dipartimento per i laici del Celam. È il primo “secolare” a far parte di un organismo squisitamente ecclesiale, con responsabilità sull’America Latina. Inizia un’epoca di viaggi, incontri, seminari, pubblicazioni. La II Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano è alle porte. Si tratta del momento collegiale per eccellenza di tutta la Chiesa del continente. Le “due grandi passioni” di Methol Ferré – l’unità dell’America Latina e la Chiesa – possono essere poste al servizio di una buona causa, il Celam, per vocazione e statuto “specializzato” in America Latina come una totalità.
La discussione con la Teologia della Liberazione è all’ordine del giorno, e si fa serrata, tanto in ambiti istituzionali, che nelle sedi universitarie e sui giornali. Methol Ferré è critico severo di questa corrente di pensiero, che conosce a fondo anche per il rapporto personale con il suo esponente di maggior spicco, Gustavo Gutiérrez, anch’egli nello staff della rivista «Vispera». Methol Ferré rimarca la sua distanza, ma allo stesso tempo riconosce il valore della teologia della liberazione, vedendovi «la reazione a un tomismo accademico d’importazione».
In questi anni di intenso lavoro al Celam si forma una vasta rete di amici in tutto il continente, dal Messico al Brasile, dalla Colombia all’Argentina, passando per il Venezuela, la Bolivia, il Cile e il Paraguay. I punti in comune: l’integrazione dell’America Latina, il legame con il popolo cattolico e i luoghi della religiosità popolare, una idea di cultura che pone al centro la visione cristiana dell’uomo, la rivalutazione della Dottrina sociale della chiesa in chiave antropologica e sociale, la percezione del nuovo avversario storico, non più l’ateismo dai connotati messianici ma un’irreligiosità profonda, estesa e persuasiva, che Methol Ferré chiama con un termine di suo conio “ateismo libertino”. Confluisce tutto – e tutti – nel terzo summit della Chiesa latinoamericana, a Puebla de Los Angeles, in Messico, nel 1979.
Il Pontificato di Giovanni Paolo II è accolto con entusiasmo. Si intrecciano fili con il movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione, che dopo gli inizi in Brasile negli anni ‘60 comincia a essere presente in quasi tutti i paesi dell’America Latina spagnola. Si intensificano le frequentazioni sui due lati dell’oceano. Methol Ferré viaggia in Italia, a Roma, per espletare la responsabilità di consulente del Pontificio consiglio per i laici, e sulla riviera adriatica per il Meeting annuale che si svolge a Rimini. Collabora alla rivista italiana “Incontri”, una pubblicazione specializzata sull’America Latina legata al settimanale “Il Sabato”.
Nel 1983 avviene il passaggio di testimone: da “Incontri” a “Nexo”, il secondo “Nexo”, un’ impresa temeraria, una rivista che vuole essere allo stesso tempo di militanza e dialogo. La rivista chiude nel 1989. Methol Ferré continua il suo rapporto con il Celam in qualità di consulente della segreteria personale di monsignor Antonio Quarracino, giunto nel frattempo alla sua seconda presidenza nell’organismo. Vi rimarrà fino alla IV Conferenza generale di Santo Domingo, del 1992, coronando un ventennio di collaborazione.
Di nuovo in Uruguay, di nuovo nella sua casa sul porto, riprende l’attività accademica a pieno ritmo: Storia della Chiesa, Storia dell’America Latina, Storia contemporanea mondiale del secolo XX, corsi per diplomatici nell’Istituto Artigas del Ministero degli esteri dell’Uruguay. E prosegue in queste e altre sedi la battaglia per l’integrazione e il Mercato comune del sud (Mercosur), oggi meno solitaria che nel passato.
Il filosofo italiano Augusto Del Noce rappresenta l’ultima influenza sulla sua maturità intellettuale. Lo conosce personalmente nel 1982. L’antefatto risale alla terza Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano. Nella bella città di Puebla i conciliaboli tra i partecipanti sono all’ordine del giorno. In un momento dei lavori domanda a un caro amico, il dott. Guzmán Carriquiry, un suo connazionale da molti anni a Roma, in Vaticano, quale filosofo cattolico italiano fosse meritevole di considerazione. Gli viene fatto il nome di Del Noce. Il dott. Carriquiry torna in Italia e di lì a poco gli invia Il suicidio della rivoluzione.
Il vaticinio rigorosamente fondato del suicidio delle rivoluzioni basta per accendere l’interesse di Methol Ferré. Un interesse assecondato dal destino. «Caso volle», ricorda a distanza di anni, «che visitassi la casa di un sacerdote, un biblista uruguayano tornato da poco dall’Italia. Guardando nella sua biblioteca, mi cade l’occhio su Il problema dell’ateismo». Glielo chiede in prestito. «Mi genera un vero shock intellettuale. Per un mese continuo a leggerlo ininterrottamente, notte e giorno, a sottolinearlo ad ogni pagina». Methol Ferré scrive una lettera per Del Noce; la invia all’amico Carriquiry con la preghiera di fargliela avere. La lettera giunge a destinazione. «Ho saputo poi che quando Del Noce l’ha letta, camminava e diceva: “Miracolo! È incomprensibile che un tipo che vive in Uruguay mi abbia capito tanto”».