In un periodo in cui sembra essere tornata di “moda” la figura di Cristo, oggetto di speculazioni storiche, filosofiche e addirittura giornalistiche che ultimamente sembrano, a vedere le numerose pubblicazioni in commercio, appannaggio dei maîtres à penser del laicismo, Antonio Socci propone la sua “indagine”. Uno studio rigoroso e obiettivo, sebbene l’autore non neghi una certa simpatia nei confronti del “ricercato”, che si pone a distanza da coloro che con la scusa dell’osservazione scientifica sfrondano l’immagine di Gesù da qualsivoglia connotazione divina per ridurla o alla dimensione esclusivamente morale e rivoluzionaria o a un ultimo residuo di mitologia.



 

Indagine su Gesù è il titolo dell’ultimo libro di Antonio Socci. Come mai, gli chiediamo, ha deciso di utilizzare proprio il termine “indagine”?

Anche se mi pare ovvio che dal volume traspaia la mia personale passione per quel nome, per quel volto, per quella persona, la mia vuole essere una ricerca laica. Nel senso di una valutazione obiettiva e molto concreta dei fatti, al di là della pre-conoscenza religiosa. Faccio un esempio: le profezie. Come se facessi un’inchiesta giornalistica, mi sono immedesimato con chi dovesse ricercare su un personaggio storico ed ho scoperto che è stato preceduto da mille e cinquecento anni da profezie che hanno predetto nel dettaglio la sua vicenda personale e persino il tempo in cui sarebbe apparso al mondo. Questo, come dice Guitton, innanzitutto pone una domanda alla ragione. Se partiamo da una precomprensione religiosa, sembra tutto un po’ scontato; da un punto di vista laico è una cosa che stupisce e sconvolge.



Per questo il prologo del libro è la storia di uno studioso, Antony Flew, professatosi ateo per decenni e poi giunto all’ammissione dell’esistenza di Dio?

La ragione di questa mia scelta è spiegata da una dichiarazione dogmatica del Concilio Vaticano I che, riprendendo un’antica tradizione della Chiesa, dice «se qualcuno dirà che l’unico vero Dio, nostro Creatore e Signore, non può essere conosciuto con certezza dal lume naturale della ragione, attraverso le cose che da Lui sono state fatte: sia anatema». Ciò dimostra che nessuno come la Chiesa esalta la ragione. Sono i razionalisti che la svalutano, ritenendola incapace di arrivare a questo culmine. D’altro canto quel testo dogmatico mette in evidenza qual è oggi il vero problema: che non si usa la ragione. Lo stesso non fare i conti con i fatti, non essere leali con le fonti storiche cui si assiste quando si tratta di Gesù è uno svilimento della ragione.



Infatti si dice, era scritto su un quotidiano proprio domenica scorsa, che il Vangelo non ha nulla di storico.

 

E invece sono pochi i testi che possono vantare la storicità dei Vangeli. Pensiamo ad un personaggio storico come Alessandro Magno: gli autori che ne parlano vengono quattrocento anni dopo di lui. I manoscritti di Platone che possediamo sono di mille e duecento anni dopo la sua vita. Così i codici degli storici romani; il manoscritto più antico del De bello gallico è del IX secolo. Gli autori dei Vangeli, invece, testimoniano fatti avvenuti nella loro generazione. A cavallo tra il primo e il secondo secolo abbiamo circa cento frammenti di papiri che riportano brani evangelici. Il più antico frammento del Vangelo di Giovanni è del 110; la scuola esegetica contraria alla storicità dei vangeli pensava che il testo giovanneo fosse stato scritto nel terzo secolo e poi si è scoperto quel frammento e la loro tesi è crollata. E infatti gli scavi archeologici hanno dimostrato che Giovanni descrive molto precisamente i luoghi della vicenda di Cristo, soprattutto Gerusalemme. Abbiamo manoscritti completi dei Vangeli già attorno al 300, con una continuità e fedeltà dei testi straordinaria. Insomma una sicurezza “storica” eccezionale.

Ma va aggiunta una cosa importante. A testimonianza della veridicità dei fatti evangelici dodici uomini, che erano molto concreti e non andavano dietro a «fantasie artificiosamente inventate» come dice Pietro, hanno dato la vita. Loro e molti altri hanno sopportato il martirio per attestare che quei fatti sono veri e loro li hanno visti coi loro occhi e toccati col le loro mani.

Bisogna avere un grave pregiudizio ideologico per non riconoscere che i Vangeli riportano testimonianze oculari. Le varie “Vite di Gesù” di matrice illuminista e idealista hanno come punto di partenza l’odio per il soprannaturale; vogliono «strappare da Gesù la sua veste soprannaturale per buttargli addosso i suoi panni da comune ebreo» come ha detto Schweitzer. Questo odio si è espresso nell’esclusione pregiudiziale della possibilità che il soprannaturale irrompa nel mondo. I miracoli non possono accadere; tutto ciò che nel Vangelo parla di questo viene dichiarato non credibile e quindi lo si fa fuori. Ma la possibilità del miracolo si può indagare andando a vedere se “oggi” accadono i miracoli. Alexis Carrel, scettico, è andato a Lourdes e si è trovato davanti al fatto del miracolo e si è convertito.

Come mai queste idee, sostanzialmente vecchie, tornano a galla adesso?

 

È vero, sono idee già confutate dall’esegesi cattolica e smentite dalle ricerche archeologiche degli ultimi trent’anni. Oggi vengono presentate come scoperte a causa dell’ignoranza diffusa, che permette di presentare come scoop cose assolutamente pacifiche e vecchissime. Ma credo che la vera tragedia sia stata che dopo il Concilio l’esegesi cattolica, come ha ricordato Benedetto XVI, ha dimenticato il patrimonio di erudizione accumulato nei decenni per appiattirsi sulla esegesi protestante e razionalista.

Penso anche che oggi, crollate le ideologie, la forza e il fascino di Gesù siano ancora più dirompenti che in passato; per cui molti cercano di mettere dei paletti preventivi.

Alla fine del libro lei scrive che «per fare i conti davvero con Gesù bisogna guardare sinceramente se stessi, la propria vita, il dramma dell’umanità e gli immensi desideri del nostro cuore».

Mi è capitato di parlare a dei ragazzi di liceo che mi hanno posto il problema di quale sia l’approccio scientifico ed obiettivo al “caso” Gesù. Prima ho cercato di mostrare che l’obiettività scientifica è un mito, perché ogni conoscenza è in qualche modo è parziale e questo è ovvio e normale. Ma soprattutto ho cercato di spiegar loro che nei confronti di Gesù c’è una conoscenza che non mente: è il fatto che Lui corrisponde profondamente a tutto ciò che noi siamo, attendiamo, cerchiamo e ci domandiamo. Non siamo dei ricercatori asettici che col camice bianco analizziamo una cellula; siamo esseri desideranti che fanno i conti ogni istante con la solitudine, col desiderio e l’incapacità di essere amati e di amare, con la brancolante ricerca del senso della vita. Tutto questo groviglio infuocato di domande e di aspettative nell’impatto con Gesù reagisce, vibra, si stupisce e si meraviglia. Gesù ha un alleato dentro di noi. Questa è una forma di conoscenza assolutamente certa, perché l’uomo conosce con tutto il suo essere; è la formula della conoscenza dell’innamorarsi.