L’enigma del Novecento, sul quale gli storici ancora oggi si interrogano, non sta solo nel comprendere come mai siano sorti sistemi di pensiero che predicavano la soppressione di intere popolazioni o classi sociali per la realizzazione di un programma politico. Quello che soprattutto sconcerta è come questi abbiano potuto conquistare l’approvazione e l’entusiastico consenso di milioni di cittadini, che intravidero una grande speranza in regimi che oggi sappiamo essere stati portatori solo di lutti e distruzione.
Negli anni tra le due guerre, la democrazia e il rispetto della dignità dell’uomo godettero di ben poca fortuna. Regimi dittatoriali o totalitari di opposto colore si affermarono in quasi tutti i paesi europei. La crisi del ’29 fece pensare a molti che il capitalismo e la liberaldemocrazia fossero condannati dalla storia. Solo la Francia e l’Inghilterra rimasero ancorate ai principi liberali, ma la rapida sconfitta della prima ad opera della Germania e il vasto consenso di cui godette il regime di Vichy mostrarono come anche nel paese della rivoluzione francese certi principi fossero assai indeboliti.
Ci sarebbe voluta una guerra mondiale e l’Olocausto per risvegliare bruscamente la coscienza europea. E risvegliarla solo in parte, perché il giudizio sul comunismo sovietico rimase per lungo tempo piegato alle esigenze della politica. Nel dopoguerra i movimenti di resistenza, sviluppatisi in alcuni paesi solo molto tardi nel corso della guerra, sarebbero diventati il mito fondativo su cui costruire una nuova identità democratica: la vasta adesione al fascismo e al nazismo furono in gran parte rimossi.
Il caso della Germania è in questo contesto particolare, come suggerisce la pubblicazione di una nuova ricostruzione delle vicende della “Rosa Bianca” pubblicata da Lindau (Annette Dumbach e Jud Newborn, Storia di Sophie Scholl e della Rosa Bianca, Lindau, 309 pagine, 22 euro). Nelle sue linee generali, la vicenda è nota. Noto è il tentativo di questo gruppo di studenti universitari di Monaco di dare vita a una forma di ribellione al governo tramite la diffusione di volantini e altri strumenti propagandistici nei quali si denunciavano la politica di Hilter e lo sterminio degli ebrei. Così come è nota la tragica fine a cui andarono incontro. Scoperti e processati dal Tribunale del popolo, furono tutti condannati alla pena capitale, che fu subito eseguita.
Ma quel che colpisce leggendo questa più recente pubblicazione è la constatazione di quanto il generoso e coraggioso moto di ribellione antinazista di questo sparuto gruppetto fosse isolato all’interno di un paese che non osava ribellarsi al nazismo anche quando questo lo portava verso il baratro. Un volantino o una scritta su un muro, furono così percepiti come gesti di rottura rivoluzionari, in un clima segnato dalla passività e dalla rassegnazione nel quale gran parte del paese era immerso.
Come ha raccontato in un bel libro di qualche anno fa lo storico Joachim Fest, tutta la storia della resistenza tedesca è infatti la storia di tentativi generosi quando disperati, compiuti da singoli o da piccoli gruppi senza alcuna reale possibilità di successo. Spesso circondati dall’incomprensione e dall’ostilità di parenti e vicini. In questo senso l’isolamento e la tragedia della “Rosa Bianca” sono lo specchio della tragedia di un intero paese.
Varie circostanze contribuirono a questa situazione, tra queste un forte nazionalismo che prescindeva dai connotati politici del governo e un senso dell’onore che additava il tradimento come il peggiore dei crimini. Da un certo momento in poi anche la constatazione che era comunque troppo tardi per tornare indietro.
L’Europa ha oggi in gran parte dimenticato tutto questo e per motivi in parte comprensibili la Germania è il paese che ha scelto assai più degli altri la via dell’oblio del proprio passato per tentare di guardare al futuro. In questo contesto, la ribellione degli studenti della “Rosa Bianca” assume ancor più valore, come testimonianza di una possibilità di riscatto del cuore dell’uomo che nessun potere può fino in fondo sopprimere.