La resurrezione di Cristo come avvenimento reale è la sfida più grande che la Chiesa lancia alla ragione dell’uomo moderno, a tal punto che molti teologi hanno pensato di ridurne lo scandalo interpretandola soltanto come una convinzione soggettiva, che si sarebbe formata inspiegabilmente nella coscienza dei primi discepoli.



Dietro questo scandalo c’è una concezione ridotta della ragione: essa dovrebbe accettare solo ciò che riesce a spiegare, anche a costo di negare ciò che è constatato direttamente o testimoniato in modo assolutamente affidabile. Invece un uomo interamente ragionevole, cioè aperto ad ogni possibilità, di fronte ad un fatto, come quello della resurrezione di Cristo, non si dovrebbe chiedere innanzitutto “come” questo sia potuto accadere, ma se “è” veramente accaduto. E se questo avvenimento risultasse testimoniato come realmente accaduto, dovrebbe mettersi a cercare le prove per le quali accettare o rifiutare in modo ragionevole questa testimonianza.



Se l’uomo del nostro tempo si mettesse in questo atteggiamento, sarebbe costretto a porsi una domanda che riguarda quel grande fenomeno storico che lo raggiunge nell’oggi e che è costituito dal movimento cristiano nella sua struttura organica: la Chiesa. Dovrebbe chiedersi se essa potrebbe spiegarsi soltanto come frutto di immense fatiche dottrinali e di nobili sforzi morali, che si sarebbero accumulati lungo il corso dei secoli e il susseguirsi di tante generazioni, o se invece questa non presenti tali caratteri di “eccezionalità” da eccedere totalmente ogni possibilità di realizzazione di spiegazione umana. Potrebbe la Chiesa esistere se non fosse stata generata – come afferma essa di se stessa – dall’avvenimento della resurrezione di Cristo, nel quale la vita stessa in tutta la sua potenza e in tutta la sua verità abbia avuto già una vittoria sul male e sulla morte?



Questa è la domanda con la quale la Chiesa sfida la ragione dell’uomo sulla verità del fatto della resurrezione.

L’ateismo moderno è caratterizzato da quella che il Papa nella Spe salvi chiama la “protesta contro Dio”. Essa è una protesta contro le ingiustizie del mondo e della storia universale: «Un mondo, nel quale esiste una tale misura di ingiustizia, di sofferenza degli innocenti e di cinismo del potere, non può essere l’opera di un Dio buono. Il Dio che avesse la responsabilità di un simile mondo, non sarebbe un Dio giusto e ancor meno un Dio buono. È in nome della morale che bisogna contestare questo Dio». Ma ecco la conseguenza che ne è stata tratta: «poiché non c’è un Dio che crea giustizia, sembra che l’uomo stesso ora sia chiamato a stabilire la giustizia». Da qui la pretesa che l’umanità possa e debba fare ciò che nessun Dio ha fatto, né è in grado di fare. «Che da tale premessa – continua il Papa – sono conseguite le più grandi crudeltà e violazioni della giustizia non è un caso, ma è fondato nella falsità intrinseca di questa pretesa. Un mondo che si deve creare da sé la sua giustizia è un mondo senza speranza. Nessuno e niente risponde per la sofferenza dei secoli. Nessuno e niente garantisce che il cinismo del potere – sotto qualunque accattivante rivestimento ideologico si presenti – non continui a spadroneggiare nel mondo» (42).

L’uomo di oggi, dunque, in forza della sua stessa ragionevolezza è più che mai chiamato a fare attenzione a quella grande giustizia annunciata dalla Chiesa e che si sarebbe realizzata proprio nella morte e nella resurrezione di Cristo. In Lui, Crocifisso, infatti, secondo la fede cristiana, «Dio rivela il suo Volto proprio nella figura del sofferente che condivide la condizione dell’uomo abbandonato da Dio, prendendola su di sé. Questo sofferente innocente è diventato speranza-certezza: Dio c’è, e Dio sa creare la giustizia in un modo che noi non siamo capaci di concepire e che, tuttavia, nella fede possiamo intuire. Sì, esiste la risurrezione della carne. Esiste una giustizia. Esiste la «revoca» della sofferenza passata, la riparazione che ristabilisce il diritto» (43).

Quel bisogno di appagamento del desiderio di giustizia che costituisce il nostro cuore e che ci impedisce di accettare che l’ingiustizia della storia sia l’ultima parola, non rende convincente almeno l’accogliere la grande sfida che pone l’annuncio della resurrezione? Non è “ragionevole” provarne la sua capacità di fare giustizia oggi?

In un mondo che ha visto il fallimento del tentativo di fare un “regno di Dio” senza Dio, che si è risolto in quella “fine perversa di tutte le cose” (già profetizzata da Kant come inevitabile, in Das Ende aller Dinge, qualora un giorno il cristianesimo fosse arrivato “a non essere più degno d’amore”), sarebbe più ragionevole dare spazio, anche nella vita pubblica, a quella realtà umana che afferma di essere nata dalla giustizia creata da Dio, per provarne la sua effettiva forza di redenzione e di salvezza per la vita dell’uomo.