Gentilissimo Direttore,

Leggo sul quotidiano on-line ilsussidiario.net il “Manifesto per una giustizia al servizio di tutti” e mi permetto di contribuire al dialogo da Voi iniziato sulla giustizia con alcune brevi osservazioni.
Devo innanzitutto esprimere apprezzamento per la novità di impostazione rispetto ai vari programmi e proclami sul tema che si sono sentiti, sia in questa campagna elettorale sia in generale negli ultimi tempi. Si usa spesso l’espressione “macchina della giustizia”, e anche io a volte ho fatto ricorso a questa metafora, ma di rado si pone mente al bisogno dell’uomo che la muove ed allo scopo che la indirizza. Invece, la funzione giurisdizionale ha direttamente e concretamente a che fare con la ricerca di ciò che è vero e quindi giusto e con l’esigenza di conoscerlo. Il processo e le sue regole non sono altro che lo strumento pensato e diretto a questo scopo, e nessuna prospettiva di riforma seria può evitare di partire da una sua attenta considerazione.
Ma proprio perché lo scopo della funzione è così alto che il suo tradimento con inefficienze e risposte inadeguate, parziali o tardive genera cinismo e disaffezione tanto negli operatori quanto nei cittadini e utenti, disaffezione che si misura nella fuga dalla giurisdizione per i primi e dal disconoscimento dell’autorità delle decisioni da parte dei secondi. La crescente sfiducia dei cittadini nella giustizia italiana vulnera un pilastro fondamentale dello Stato di diritto e mette in crisi la possibilità stessa della convivenza civile.
Per questa ragione, la grave crisi di funzionamento in cui versa la giustizia nel nostro Paese coinvolge molteplici responsabilità e chiama tutti – politici, magistrati e avvocati – a cambiare mentalità e ad affrontare finalmente i problemi in una visione di sistema e non in un’ottica di breve periodo, provvisoria e parziale e quindi ultimamente ideologica o peggio di bottega. Non è più tempo di mettere pezze semi nuove su un vestito vecchio.
Condivido inoltre la sottolineatura della responsabilità: è un tema che anche l’Associazione Nazionale Magistrati da qualche tempo sta rilanciando, nella consapevolezza che l’inalienabile valore dell’indipendenza della magistratura corre quotidianamente il rischio di svalutarsi in arbitrio se non è coniugato a professionalità e – appunto – a responsabilità.
Responsabilità di fronte a qualcosa e a qualcuno, di fronte al bisogno di giustizia ed alla sovranità popolare espressa nella legge, dice bene il vostro Manifesto; ma quali meccanismi possono dare concretezza a una responsabilità che non si riduca a sola tensione etica? Tensione necessaria, si intende, ma che deve trovare una strada concreta di attuazione e di verifica, delle leve che inneschino un circuito virtuoso contro la naturale fragilità delle intenzioni umane.
In realtà, gli strumenti ci sono sempre stati e la riforma dell’Ordinamento Giudiziario entrata in vigore il luglio scorso ne ha introdotti di nuovi: rigorose e frequenti valutazioni di professionalità per tutti i magistrati e per i Dirigenti degli uffici giudiziari legate alla progressione in carriera, oltre al nuovo sistema disciplinare tipizzato e reso più incisivo.
Ma a questo punto, dobbiamo porci una domanda fondamentale: come possono scattare questi meccanismi di responsabilità e di incentivo alla professionalità in un contesto di generale abbandono della giustizia in termini di scarsità delle risorse materiali e del personale amministrativo, di legislazione processuale e sostanziale, di organizzazione? E soprattutto, ha senso colpire i singoli operatori (magistrati soprattutto), quando l’intero impianto è fatiscente?
Anche i media sembrano oggi fare a gara a mettere in luce le carenze, anche gravi o gravissime, di alcuni magistrati in alcune indagini o processi; ma non si comprende a chi possa giovare questa gara. Siamo certi che rimuovendo le cause delle mancanze più gravi di singoli magistrati risolveremmo il problema della giustizia?
Se osserviamo la nostra esperienza quotidiana ci accorgiamo piuttosto che il sistema è ormai al collasso e ciò costituisce il vero freno alla responsabilità dei singoli e della categoria, rappresentando un enorme alibi per chi si vuole nascondere o sottrarre e, nello stesso tempo, un peso e un deterrente per le energie migliori. E’ noto, infatti, che nella maggior parte dei casi i magistrati sono chiamati a un grande numero di attività di supplenza e non ho il timore di dire che in pochi altri settori dell’impiego pubblico troviamo motivazioni così profonde da far sostenere condizioni di lavoro, anche ambientali, che qualunque altra categoria rifiuterebbe.
L’approvazione della legge c.d. Mastella sull’Ordinamento Giudiziario nel bene e nel male costituisce un punto fermo nella riforma della magistratura, mentre oggi risulta assolutamente prioritaria una seria riforma della giustizia.
Ripartiamo quindi dall’essenziale, ma nella consapevolezza che coloro che rivestono un ruolo di Governo hanno il preciso compito di assicurare tutte le condizioni concrete perché la coscienza, la libertà e quindi la responsabilità degli uomini, compresi gli operatori della giustizia, si possano esprimere e realizzare.



Simone Luerti

(Foto: Imagoeconomica)

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