Uno dei tratti più belli di Benedetto XVI è la sua fedeltà a se stesso, senza tentare di essere come il suo grande amico Giovanni Paolo II, con il quale si trovava una volta alla settimana per lunghe conversazioni, spesso di spessore teologico e filosofico. La sua formazione è quella di un professore, meglio, di un pensatore di non comune chiarezza, di straordinaria erudizione e di coraggiosa capacità di giudizio.
Il Papa ha sempre colpito chi lo conosce come una persona insolitamente schiva e riservata, nonostante la sua grande cultura, il tipo di insegnante che preferisce che sia la sua chiarezza di pensiero a parlare da sola. Lontanissimo da ogni arroganza, anche nelle conversazioni informali si comporta come un ricercatore costantemente teso a imparare.
Agli inizi degli anni ’80, quattro intellettuali americani, cattolici e protestanti, si incontrarono per un’ora con l’allora cardinale Ratzinger per una specie di giro d’orizzonte sulla situazione della fede cristiana in Europa, negli Stati Uniti e nell’Unione Sovietica. Si dice che il cardinale abbia insistito sul fatto che il comunismo era morto e che neppure in URSS era più preso sul serio ( come invece avveniva in qualche università occidentale): la grande minaccia intellettuale del futuro, quella che maggiormente lo preoccupava, era lo “gnosticismo”.
Come per Eric Voegelin, il profugo europeo che visse e scrisse per molti anni negli Stati Uniti, si pensò che il cardinale si riferisse a una specie di utopismo trasognato, un tentativo di fuga dai limiti dell’umano. Lo gnosticismo cerca forme di perfezione così irreali che diventa necessariamente nemico del semplicemente umano e del semplicemente buono. Esso porta a insoddisfazione, indignazione, amarezza, alienazione, ad una rassegnata capitolazione di fronte al male e, abbastanza spesso, alla autodistruzione. Forse, il cardinale stava elaborando già allora il suo più recente pensiero su relativismo e nichilismo, ingegneria genetica e romanticismo politico come i principali nemici odierni della libertà.
Al funerale di Giovanni Paolo il Grande, davanti a un raduno di popolo mai visto al mondo, il cardinale Ratzinger tenne un sermone di grande forza intellettuale e poetica, caratterizzato dalla sua grande amicizia con il defunto, per non parlare della sua grande ammirazione e affetto per questo uomo. Dopo la cerimonia, uno del mio gruppo disse: «Abbiamo appena sentito il prossimo Papa»; molti non concordavano, perché le probabilità sembravano allora molto basse.
Tuttavia, notai come più di una dozzina di cardinali avevano rilasciato interviste in cui dichiaravano che Ratzinger avrebbe potuto essere il loro candidato. Perfino i Gesuiti sembravano in suo favore, nonostante la loro resistenza a Giovanni Paolo II. Molti erano però perplessi per il fatto che Joseph Ratzinger era conosciuto da lungo tempo come un uomo santo, schivo e pur accessibile, un prete più che un cardinale. Tuttavia, tra gli altri cardinali era probabilmente la matita più appuntita, il più erudito, il più chiaro e orientato al futuro come pensiero. Soprattutto, egli aveva realmente capito cosa Papa Giovanni Paolo II stesse perseguendo.
Inoltre, sapevo per esperienza personale come non fossero vere quasi tutte le definizioni su Ratzinger della stampa “progressista”: reazionario, autoritario, rigido (persino il rettore di una grande università cattolica degli Stati Uniti lo definì una volta in privato Panzerkardinal). La prima volta che incontrai il giovane Joseph Ratzinger fu infatti al Concilio Vaticano Secondo, dove era ben conosciuto come uno dei giovani “progressisti”.
Questo Papa è paziente, persistente e ponderato, ma anche coraggioso. Il suo famoso discorso di Ratisbona sul dialogo tra l’imperatore cristiano di Costantinopoli e un filosofo islamico suo amico, diede la sveglia alla compiacente Europa contemporanea. Il dialogo in questione metteva in contrasto la ragione, cara a Dio, con la violenza, contraria alla natura di Dio. Questo grande imperatore, Manuele II Paleologo, riuscì a tenere in scacco le orde del Sultano dal 1394 al 1425, ma nel 1453, sotto il regno di suo figlio, Costantinopoli cadde in mano dei musulmani, le sue chiese distrutte o trasformate in moschee, i cristiani uccisi o tratti in schiavitù. Esattamente sei decenni dopo quella che sembrava una discussione di poca importanza, la più grande e potente, al tempo la più avanzata città della Cristianità cessava di essere una capitale cristiana e, con lei, praticamente tutto il Mediterraneo orientale diventava musulmano.
Le idee hanno un forte potere, specialmente in tempi cruciali come i nostri, nei quali sono in gioco questioni fondamentali, che nessuno vede più chiaramente di questo Papa speciale. Il suo discorso di Ratisbona ha rivelato un punto focale della sua strategia: sollevare la discussione sul fatto che la ragione è di Dio, mentre la violenza è un peccato contro la natura di Dio.
Un secondo punto è la sua enfasi sulla libertà religiosa e qui si rivolge a qualcosa di immediatamente concreto. Le moschee stanno diffondendosi in tutta l’Europa, ma ora il Papa sta invocando reciprocità. Egli continua ad insistere sul diritto dei cristiani di costruire chiese nei paesi musulmani e chiede la cessazione delle violenze contro le minoranze cristiane. Nel Qatar, il Vaticano ha appena aperto la prima chiesa cristiana del paese e un accordo simile, non senza contrasti, è in programma con l’Arabia Saudita. In questo paese vi sono 900.000 lavoratori cristiani, dalle Filippine e da altri paesi, e in Qatar ve ne sono 150.000: tutti hanno bisogno disperatamente della libertà di praticare la loro religione.
Benedetto XVI vede molto altro che può essere fatto per proteggere i cristiani nelle nazioni islamiche, nel momento in cui l’Europa si apre all’immigrazione musulmana. Egli è gentile, riservato e paziente, ma nessuno dovrebbe sottostimare la sua tenacia e determinazione. Cinque anni fa, egli fu d’accordo con Giovanni Paolo II che la guerra in Iraq sarebbe stato un errore, ma ora la sua convinzione è che là deve essere rispettata la libertà religiosa e garantita la protezione dei cristiani, in piena reciprocità con la libertà di cui i musulmani godono nei paesi cristiani.
Tuttavia, il punto più importante della visita americana del Papa è stimolare i fedeli cattolici negli Stati Uniti. Si dovranno considerare attentamente i suoi discorsi agli educatori cattolici, ai vescovi e al clero, e a milioni di americani attraverso la televisione. Così come si dovrà dare grande attenzione al suo discorso alle Nazioni Unite, che si dice sarà una profonda ricapitolazione del corpo delle idee sulla legge naturale e sui diritti universali dell’uomo, nei quali furono concepite le stesse Nazioni Unite, per inciso sotto una rilevante leadership cattolica.
È decisamente il momento giusto per Benedetto XVI di venire in America.