Qual è il suo giudizio sulla visita del Papa all’ONU?

Questa visita di Benedetto XVI negli Stati Uniti è una cosa stupenda e sorprendente: come sempre con questo Papa, uno si aspetta già tutto e, invece, c’è poi sempre qualcosa di inaspettato. La cosa che mi colpisce di più, in prima istanza, è come lui stesso rappresenti una certa visione del ruolo della Chiesa, la testimonianza cristiana per la vita pubblica. In nessun momento Benedetto cerca di dare istruzioni sulla questione del bene comune, che si tratti delle comunità nazionali o di quelle internazionali, ma ci ricorda i principi di base, quelli che sono più vicini al cuore umano, dai quali bisogna partire per risolvere tutti i problemi. All’Onu ha riconosciuto la necessità dei diritti umani, che le istituzioni si coordinino per proteggere l’ambiente e altre cose pratiche. Però poi, di fatto, non parla veramente di queste cose, ma si concentra sull’unità della persona. Il discorso all’Onu dall’inizio alla fine è stato sull’unità della persona. Se non si rispetta questa unità, tutto il resto è nulla o, peggio, finisce per nuocere al bene comune. I diritti umani sono un riconoscimento dell’integrità della persona e del suo legame con gli altri per il bene comune. Se uno non rispetta quest’integrità, i diritti umani non solo non raggiungono il loro scopo, ma arrivano a danneggiare l’ispirazione primaria all’origine di quell’ideale, perché ogni desiderio diventa diritto soggettivo e niente rimane, niente si può costruire.
Così afferma, come sempre si è affermato nella tradizione della Chiesa, che l’esistenza stessa di un’istituzione come l’Onu rappresenta il desiderio del cuore umano per qualcosa in più: un’unità della famiglia umana. Però il Papa non si ferma al formalismo, va direttamente più nel profondo: la legalità non basta, c’è bisogno di giustizia. Quindi dice sì alle istituzioni, alla coordinazione, ai diritti umani, però sottolinea che questi non bastano, sono la superficie di quello che desidera l’uomo e desidera l’umanità. La vera necessità è di giustizia e di unità, che venga rispettata la dimensione completa dell’uomo.



È in questo che inserisce anche il suo discorso sulle religioni…

Esatto. E poi ritorna anche sul ruolo della Chiesa. L’uomo deve essere aperto a ogni dimensione della realtà e della vita, inclusa, e soprattutto, quella religiosa. Per questo esiste la Chiesa: per riportare l’uomo, l’umanità e le sue istituzioni a questa apertura alla Verità. Nel bellissimo discorso tenuto ieri all’Università Cattolica ha usato diverse volte la frase “la Chiesa è la diaconia della verità”. Oggi all’Onu ha dato l’esempio concreto di come la Chiesa serve come diaconia della verità per tutta l’umanità. E in questo si inserisce anche la richiesta della libertà di religione. Non è una libertà tra le altre, è la conseguenza di questo discorso. Senza libertà di religione non si può essere aperti alla verità, e senza quell’apertura alla verità tutto il resto diventa un formalismo, che alla fine non solo non compie l’aspirazione originale, ma diventa una perversione dello scopo finale.
Un altro passaggio che mi sembra interessante è quando parla della responsabilità di protezione che incombe sulle istituzioni e pone come terreno comune di questa responsabilità l’umana dignità, che è il fondamento di tutto e non può essere sacrificata ad interessi di parte o contingenti.



A questo proposito, ad un certo punto, il Papa afferma che la volontà di pochi Stati condiziona le decisioni della comunità internazionale, che può essere interpretato come una sorta di accusa all’Onu. È così?

Sì, per me lo è. Lui gioca due carte, che insieme si bilanciano. Da un lato, dice che quando l’Onu si assoggetta alla volontà solo di alcuni stati non riesce ad arrivare agli ideali per cui è stata creata. Questa è una critica agli Stati Uniti, in particolare, e alla struttura dell’Onu in generale. Però poi riafferma la responsabilità di proteggere, e esattamente qui si gioca l’incapacità e il formalismo dell’istituzione dell’Onu, bloccata tra procedure e veti.



Come pensi che verrà accolto questa critica da Bush, spessi attaccato per il suo unilateralismo?

Io non credo che Bush la vedrà come una critica. Forse verrà riportata così dai giornali, ma non sarebbe giusto, perché il governo Bush ha sempre dichiarato di essere disposto a collaborare con le altre nazioni, purché queste riconoscano che c’è una necessità di agire insieme. Se gli altri non vogliono agire, allora agisce da solo. Su questo, in un certo senso, il Papa gli dà ragione, quando dice che non ci possiamo far fermare dalla questione delle procedure. C’è una responsabilità di agire, e senz’altro è meglio se lo si fa insieme, ma se non si può agire insieme, se le Nazioni Unite non compiono quello che sarebbero tenute a fare, questa responsabilità non viene a cessare, ma siamo noi che non ce ne facciamo carico.

(Foto: Imagoeconomica)