Giovanni Paolo II ha portato nel cattolicesimo dell’occidente qualcosa di assolutamente nuovo ed imprevedibile. Per più di venticinque anni la sua patria è stata il cuore di milioni di uomini che lo hanno incontrato o almeno visto di persona. Ecco perché è entrato nella storia.
Un uomo vero – All’inizio quello che stupì fu il suo venire da lontano: erano secoli che non veniva nominato papa uno straniero, era la prima volta di un papa slavo. Si comprese subito che questa origine avrebbe significato una missione particolare; una missione fra Oriente e Occidente, compito che la Polonia svolge da sempre, avendo scelto nella sua origine di essere una nazione slava legata all’occidente. Quando, dopo i primi giorni di pontificato, si venne a conoscere la storia di quest’uomo, la realtà del suo passato di sportivo, di attore, di filosofo, si comprese anche un altro aspetto per cui Giovanni Paolo II avrebbe avuto un posto particolare nella storia. In lui il dato biografico entrava in modo rilevante a determinare il compito che gli era stato affidato. Era stato eletto papa “un uomo”, un uomo vero, un uomo con una grande capacità di ascoltare e di parlare, di riflettere e di colpire, con una grande capacità comunicativa, come gli anni successivi avrebbero dimostrato. Un uomo che sarebbe diventato centro mondiale di attenzione, nell’epoca in cui le televisioni tutto offrono e tutto bruciano fin dal primo istante. Un uomo vero, anche nelle cerimonie più fastose. Nella basilica di san Pietro, mentre tutto era calcolato dal maestro delle cerimonie, Giovanni Paolo II non interpretava un copione, come avrebbe potuto essere tentato per la stanchezza o la routine. Riviveva. Le sue labbra si muovevano nascostamente in preghiera.
Egli ha portato nel cattolicesimo dell’occidente qualcosa di assolutamente nuovo ed imprevedibile. Un cantante romano paragonò un giorno, in una conversazione con me, questo papa ad un extraterrestre che, con la sua astronave, piomba su piazza san Pietro da un pianeta lontano. Sulle prime l’esempio, applicato subito dopo a Cristo e al Natale, mi sembrò, oltre che irriguardoso, un po’ superficiale. A bene pensarci, questo non è poi del tutto vero.
Giovanni Paolo II, nel nostro cattolicesimo, è stato veramente un fatto nuovo e inimmaginabile. Innanzitutto per lui la fede era un’esperienza positiva. “Cristo è il più grande realista” gridò in una omelia durante una delle prime celebrazioni per gli universitari nella basilica di san Pietro. Per Pio XII la fede era il baluardo contro chi voleva distruggere l’uomo e il mondo, per Giovanni XXIII la sapientia cordis con cui guardare all’uomo, per Paolo VI la fede era conoscenza dell’uomo e del cosmo, per Giovanni Paolo I lo stupore umile e certo di una Presenza, per Giovanni Paolo II la fede era l’esperienza della realizzazione di sé.
Prima di Karol Woityla era difficile immaginare il papa senza la veste bianca, anche se sappiamo che Pio XII in casa indossava talvolta uno spolverino grigio, anche se conosciamo la foto di monsignor Roncalli in doppiopetto nella laica Turchia dov’era delegato apostolico. Ma Montini è sempre in talare, anche quando scherza coi fucini. Di Karol Woityla conosciamo le foto in canoa, in picnic, fra donne e bambini, perfino in maschera. Le foto da operaio, da militare. Ma già allora, fra gli altri, pur negli abiti frusti, aveva una dignità differente. E anche quando era in clergyman aveva un borsalino inusuale. E quando era in talare non era mai “portato” dall’abito.
Egli ha portato nel cattolicesimo dell’occidente qualcosa di assolutamente nuovo ed imprevedibile. Un cantante romano paragonò un giorno, in una conversazione con me, questo papa ad un extraterrestre che, con la sua astronave, piomba su piazza san Pietro da un pianeta lontano. Sulle prime l’esempio, applicato subito dopo a Cristo e al Natale, mi sembrò, oltre che irriguardoso, un po’ superficiale. A bene pensarci, questo non è poi del tutto vero.
Giovanni Paolo II, nel nostro cattolicesimo, è stato veramente un fatto nuovo e inimmaginabile. Innanzitutto per lui la fede era un’esperienza positiva. “Cristo è il più grande realista” gridò in una omelia durante una delle prime celebrazioni per gli universitari nella basilica di san Pietro. Per Pio XII la fede era il baluardo contro chi voleva distruggere l’uomo e il mondo, per Giovanni XXIII la sapientia cordis con cui guardare all’uomo, per Paolo VI la fede era conoscenza dell’uomo e del cosmo, per Giovanni Paolo I lo stupore umile e certo di una Presenza, per Giovanni Paolo II la fede era l’esperienza della realizzazione di sé.
Prima di Karol Woityla era difficile immaginare il papa senza la veste bianca, anche se sappiamo che Pio XII in casa indossava talvolta uno spolverino grigio, anche se conosciamo la foto di monsignor Roncalli in doppiopetto nella laica Turchia dov’era delegato apostolico. Ma Montini è sempre in talare, anche quando scherza coi fucini. Di Karol Woityla conosciamo le foto in canoa, in picnic, fra donne e bambini, perfino in maschera. Le foto da operaio, da militare. Ma già allora, fra gli altri, pur negli abiti frusti, aveva una dignità differente. E anche quando era in clergyman aveva un borsalino inusuale. E quando era in talare non era mai “portato” dall’abito.
Un grande comunicatore – L’altra ragione per cui quest’uomo sarebbe entrato nella storia, lo si capì a mano a mano, è stata la quantità di udienze fatte e di persone incontrate, di testi pronunciati e pubblicati. Tutto ciò colloca Giovanni Paolo II in un posto sicuramente particolare nella storia della Chiesa sia per la modalità della sua scrittura, sia per la quantità di temi affrontati, sia per lo stile assolutamente originale di alcuni suoi testi che ricollegano il suo magistero agli scritti della sua giovinezza e maturità, compresi quelli poetici e letterari. Non dimentichiamo che Giovanni Paolo II è l’unico papa, nei tempi moderni, che abbia – durante il pontificato – scritto dei testi autobiografici e pubblicato dei volumi di interviste autorizzate.
Fra le migliaia di pagine scritte da lui o per sua iniziativa sceglierei le tre encicliche trinitarie (la Redemptor Hominis in particolare), l’enciclica sulla missione, il documento uscito dal sinodo sulla formazione sacerdotale e quello sui laici (Pastores Dabo Vobis e Christifideles Laici) e il Catechismo della Chiesa Cattolica.
Assolutamente singolare poi era il suo modo di rapportarsi agli interlocutori, fossero essi la folla o il singolo giornalista, o una persona che gli stava davanti a tavola. Un senso acutissimo delle folle lo rendeva capace di essere centro di attenzione per ogni persona, di rispondere a frasi lanciate e colpire con le sue battute, la sua giovialità, il suo umorismo. Veramente Giovanni Paolo II è un caso eccezionale nella storia della comunicazione, sorprendentemente abile a cogliere ciò che l’altro vorrebbe sapere, a rispondere mantenendosi sempre nei limiti della prudenza e della verità insieme.
La parola aveva per lui un significato ben differente a seconda dei casi.
Nella liturgia era in primo piano. Raramente le omelie non risentivano della sua penna e più ancora del suo inconfondibile stile fenomenologico. Una frase centrale delle letture ritorna, come in una considerazione a spirale che si avvicina a poco a poco alla realtà. Sembra di leggere sant’Agostino. Anche negli Angelus, soprattutto durante i viaggi e più ancora nei santuari, si intravedeva, anzi si sentiva, il suo intervento.
Altre volte invece, per esempio in molte udienze, la parola era soprattutto un’occasione, l’occasione di un incontro, quando in primo piano era l’esserci nostro accanto a lui e suo accanto a noi, il canto, la folla, l’applauso.
Poi c’era la parola improvvisata, quando il testo preparato finiva o veniva lasciato da parte o quando improvvisava una risposta, sempre nella lingua dell’interlocutore, per esempio ad un giornalista. E allora emergeva la grande padronanza di Karol Woityla, il gioco di parole, il dire senza dire tutto, perché l’altro ci pensasse, perché l’altro non si offendesse, perché la parola non venisse meno nel suo rimando permanente ad altro, all’Altro.
Fra le migliaia di pagine scritte da lui o per sua iniziativa sceglierei le tre encicliche trinitarie (la Redemptor Hominis in particolare), l’enciclica sulla missione, il documento uscito dal sinodo sulla formazione sacerdotale e quello sui laici (Pastores Dabo Vobis e Christifideles Laici) e il Catechismo della Chiesa Cattolica.
Assolutamente singolare poi era il suo modo di rapportarsi agli interlocutori, fossero essi la folla o il singolo giornalista, o una persona che gli stava davanti a tavola. Un senso acutissimo delle folle lo rendeva capace di essere centro di attenzione per ogni persona, di rispondere a frasi lanciate e colpire con le sue battute, la sua giovialità, il suo umorismo. Veramente Giovanni Paolo II è un caso eccezionale nella storia della comunicazione, sorprendentemente abile a cogliere ciò che l’altro vorrebbe sapere, a rispondere mantenendosi sempre nei limiti della prudenza e della verità insieme.
La parola aveva per lui un significato ben differente a seconda dei casi.
Nella liturgia era in primo piano. Raramente le omelie non risentivano della sua penna e più ancora del suo inconfondibile stile fenomenologico. Una frase centrale delle letture ritorna, come in una considerazione a spirale che si avvicina a poco a poco alla realtà. Sembra di leggere sant’Agostino. Anche negli Angelus, soprattutto durante i viaggi e più ancora nei santuari, si intravedeva, anzi si sentiva, il suo intervento.
Altre volte invece, per esempio in molte udienze, la parola era soprattutto un’occasione, l’occasione di un incontro, quando in primo piano era l’esserci nostro accanto a lui e suo accanto a noi, il canto, la folla, l’applauso.
Poi c’era la parola improvvisata, quando il testo preparato finiva o veniva lasciato da parte o quando improvvisava una risposta, sempre nella lingua dell’interlocutore, per esempio ad un giornalista. E allora emergeva la grande padronanza di Karol Woityla, il gioco di parole, il dire senza dire tutto, perché l’altro ci pensasse, perché l’altro non si offendesse, perché la parola non venisse meno nel suo rimando permanente ad altro, all’Altro.
Il missionario – Certamente Giovanni Paolo II è entrato nella storia per il progetto mondiale di evangelizzazione che egli ha esercitato e messo in atto attraverso una quantità di viaggi che hanno fatto indubbiamente di lui l’uomo che più ha viaggiato in tutta la storia dell’umanità, che più è stato seguito nei suoi viaggi in modo diretto e indiretto, attraverso la televisione e i giornali, da milioni di persone. Nessun uomo ha mai radunato intorno a sé tanta gente come Giovanni Paolo II. Il progetto di evangelizzazione, oltre questa comunicazione diretta, è stato sotteso da un progetto “politico” di incontro tra l’est e l’ovest dell’Europa, con il mondo dell’ortodossia, con il mondo dell’Estremo Oriente, passando per Gerusalemme e la terra di Abramo. Dopo il suo pontificato, il volto dell’Europa, crollato l’impero sovietico, è completamente ridisegnato.
L’imponenza di programma e di sacrifico richiesti dai suoi viaggi hanno fatto di Giovanni Paolo II uno dei più grandi papi missionari della storia.
In perfetta connessione con questo anelito durante gli anni del suo pontificato si è assistito alla valorizzazione dei movimenti e delle nuove comunità, alla sottolineatura della essenzialità dell’elemento carismatico nella Chiesa, alla ricerca della collocazione canonica di tali comunità, per favorire il loro sviluppo missionario.
In Woityla la difesa strenua dei diritti dell’uomo e della donna (diritto al lavoro, diritto alla vita, diritto alla famiglia, diritto all’educazione) si è coniugata con una denuncia dei miti del capitalismo selvaggio. Egli è stato un difensore dei poveri e dei diseredati e nello stesso tempo uno strenuo combattente contro l’aborto e le altre piaghe del nostro tempo come l’eutanasia e la manipolazione genetica. Alto soprattutto è stato il suo grido per i “diritti della verità”, del vero che è apparso definitivamente nel mondo con l’Incarnazione.
L’imponenza di programma e di sacrifico richiesti dai suoi viaggi hanno fatto di Giovanni Paolo II uno dei più grandi papi missionari della storia.
In perfetta connessione con questo anelito durante gli anni del suo pontificato si è assistito alla valorizzazione dei movimenti e delle nuove comunità, alla sottolineatura della essenzialità dell’elemento carismatico nella Chiesa, alla ricerca della collocazione canonica di tali comunità, per favorire il loro sviluppo missionario.
In Woityla la difesa strenua dei diritti dell’uomo e della donna (diritto al lavoro, diritto alla vita, diritto alla famiglia, diritto all’educazione) si è coniugata con una denuncia dei miti del capitalismo selvaggio. Egli è stato un difensore dei poveri e dei diseredati e nello stesso tempo uno strenuo combattente contro l’aborto e le altre piaghe del nostro tempo come l’eutanasia e la manipolazione genetica. Alto soprattutto è stato il suo grido per i “diritti della verità”, del vero che è apparso definitivamente nel mondo con l’Incarnazione.
Cristo e Pietro – Infine Giovanni Paolo II è entrato certamente nella storia per la sua originale interpretazione del ministero petrino, che, esercitato attraverso una dislocazione dal centro alla periferia, ha posto l’urgenza di una riflessione profonda sul suo esercizio nei secoli futuri.
Ma non si può rispondere alla domanda posta all’inizio (“Perché è entrato nella storia?”) se non andando al cuore della sua personalità, che era certamente racchiuso nella mistica, nel rapporto con Cristo, insegnato a lui dalle vicende drammatiche della sua infanzia e della sua giovinezza, soprattutto nel tempo della guerra. Si pensi alla progressiva esperienza di Maria come propria madre, in continuità con la figura materna, presto mancata. E poi l’incontro con la spiritualità di S. Teresa D’Avila, di S. Giovanni della Croce e di Grignon di Monfort, che hanno portato a maturare in Karol Woityla e in Giovanni Paolo II una concezione della propria esistenza come vita da donare, fino all’estremo sacrificio delle proprie energie e delle proprie possibilità.
Solo la preghiera può permettere ad un uomo di essere papa e di esserlo anche con slancio, con passione e con ilarità, perché la preghiera del cristiano è innanzitutto memoria di Colui a cui apparteniamo. “Pietro, mi ami tu più di costoro?” “Signore, tu lo sai che io ti amo”.
In questa confidenza di figlio e di amante, Karol Woityla ha conosciuto il segreto disegno che ha portato, lui, uomo fra gli uomini, a essere pastore universale della Chiesa e del mondo.
La sua preghiera si è fatta allora offerta: Giovanni Paolo II sapeva che la sua vita andava spesa, fino al sangue, per quell’uomo che lo aveva scelto sul mare di Galilea affinché Cristo sia conosciuto e amato, affinché il mondo degli uomini diventi più umano. Anche se questo avrebbe voluto dire raggiungere tutti gli angoli più lontani della terra.
Ma non si può rispondere alla domanda posta all’inizio (“Perché è entrato nella storia?”) se non andando al cuore della sua personalità, che era certamente racchiuso nella mistica, nel rapporto con Cristo, insegnato a lui dalle vicende drammatiche della sua infanzia e della sua giovinezza, soprattutto nel tempo della guerra. Si pensi alla progressiva esperienza di Maria come propria madre, in continuità con la figura materna, presto mancata. E poi l’incontro con la spiritualità di S. Teresa D’Avila, di S. Giovanni della Croce e di Grignon di Monfort, che hanno portato a maturare in Karol Woityla e in Giovanni Paolo II una concezione della propria esistenza come vita da donare, fino all’estremo sacrificio delle proprie energie e delle proprie possibilità.
Solo la preghiera può permettere ad un uomo di essere papa e di esserlo anche con slancio, con passione e con ilarità, perché la preghiera del cristiano è innanzitutto memoria di Colui a cui apparteniamo. “Pietro, mi ami tu più di costoro?” “Signore, tu lo sai che io ti amo”.
In questa confidenza di figlio e di amante, Karol Woityla ha conosciuto il segreto disegno che ha portato, lui, uomo fra gli uomini, a essere pastore universale della Chiesa e del mondo.
La sua preghiera si è fatta allora offerta: Giovanni Paolo II sapeva che la sua vita andava spesa, fino al sangue, per quell’uomo che lo aveva scelto sul mare di Galilea affinché Cristo sia conosciuto e amato, affinché il mondo degli uomini diventi più umano. Anche se questo avrebbe voluto dire raggiungere tutti gli angoli più lontani della terra.