Aveva bene intuito il settimanale Time, presentando con un’ampia e acuta cover story l’imminente visita: “Perché il Papa ama l’America”. Nei sei giorni del viaggio tra le due sole tappe di Washington e New York, Benedetto XVI non ha fatto mistero del suo amore per gli Stati Uniti. Ne ha intessuto tutti i discorsi, anche quelli più ostici; ne ha riempito tutti gli sguardi, anche quelli che rivelavano severità. È certo che per Benedetto l’America costituisce un esempio storico da additare e incoraggiare. In questa terra Dio ha piena e libera cittadinanza. Nel discorso introduttivo al viaggio aveva detto: «Storicamente, non solo i cattolici, ma tutti i credenti hanno qui trovato la libertà di adorare Dio secondo i dettami della loro coscienza, essendo al tempo stesso accettati come parte di una confederazione nella quale ogni individuo ed ogni gruppo può far udire la propria voce». La fede non solo come atto personale, ma come gesto compiuto nello spazio pubblico, dove ha piena possibilità espressiva e costruttiva. È il principio che il Papa vede tradito dall’Europa che rinuncia al proprio passato e cammina nel presente seguendo il principio opposto: la separazione. L’Europa non può ascoltare ormai nessuna parola che abbia a che fare con una esperienza religiosa dichiarata: pochi giorni fa è stata respinta la proposta di un canale preferenziale di asilo per i cristiani iracheni con la motivazione che si sarebbe trattato di operare “su base confessionale”, cosa che l’Europa non può permettere poiché bla, bla bla… (Non che gli Stati Uniti abbiano aperto molte porte: nel 2007 avevano accettato di accogliere meno di cinquecento iracheni, ma le restrizioni non hanno alcun legame con questioni religiose: l’ufficio americano per l’immigrazione è duro con chiunque venga dal Medio Oriente).



In America non ci sono muri tra la fede e la vita pubblica, anzi; e questo piace al Papa che poco prima di diventare Papa indicava come il vero antagonismo della modernità fosse tra chi ammette Dio nella res publica e chi Lo respinge. Gli piace l’apertura umana, che poi si riflette nell’apertura della società e della cultura, gli piace la possibilità, eretta a fondamento stesso della nazione, che individui, gruppi, comunità, chiese, contribuiscano con pari dignità e pari rispetto al bene pubblico. Gli piace un sistema che vuole ridurre l’invasività dello Stato per esaltare la forza operativa dei corpi intermedi. Ma l’amore del Papa verso l’America non è cieco né irresponsabile. Quando ha toccato il tema della libertà, e si sa come la pensino in proposito gli americani (si veda il bel commento anticipatore di mons. Lorenzo Albacete pubblicato quiil 16 aprile), lo ha posto in relazione con la verità, altrimenti la libertà è priva di basi; quando ha parlato della vitalità della società ha messo in evidenza la grave crisi della famiglia; quando ha esaltato la virtù “americana” della speranza ha ricordato le gravi ingiustizie patite dai neri ridotti in schiavitù e dai nativi ridotti nelle riserve. Un amore autentico non nasconde nulla e così è stato in questi giorni. Al clero e ai vescovi il Papa ha indicato veemente le gravi responsabilità sulla tragedia della pedofilia; agli educatori cattolici ha ribadito per la quasi totalità del discorso che l’unico senso del loro compito è la persona di Gesù Cristo: «Ogni istituzione educativa cattolica è un luogo in cui incontrare il Dio vivente» (e poi ha menzionato la necessità di assicurarvi l’accesso a persone di ogni strato economico).



Le stanche Nazioni Unite hanno tratto giovamento dall’abbraccio di Benedetto all’America, che è stato certo il centro drammatico del viaggio oltreoceano, più dell’aspetto internazionale. Nonostante l’evidente prolungato stato di logoramento dell’organizzazione, con un discorso di grande importanza, il capo della Chiesa le ha rinnovato credito e fiducia, sottolineandone il principio istitutivo più vero (e forse più negletto), la «responsabilità di proteggere», e valorizzando enormemente il sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (che sta passando in realtà piuttosto inosservato), «basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo e presente nelle diverse culture e civiltà». Tra essi, il diritto alla libertà religiosa, che già Benedetto aveva messo al centro dell’incontro di Washington con i leader delle altre confessioni, quasi fosse un test della qualità del tanto invocato dialogo, e che all’Onu ha descritto in modo che non ci siano equivoci: «Rituale, di culto, di educazione, di diffusione di informazioni, come pure la libertà di professare o di scegliere una religione». E questo non era certo un passaggio rivolto agli americani.

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