L’occasione della Settimana della Comunicazione promossa dalla Società San Paolo offre l’opportunità di approfondire un tema sul quale sia Benedetto XVI che Giovanni Paolo II hanno espresso pensieri tanto lucidi da apparire fiammeggianti. Sicchè il primo invito è quello di rileggerli e meditarci su. Il secondo è quello di evitare di ripercorrere la strada dei molti pii commenti che sono stati fatti in proposito, per cercare di andare al di là della chiosa di quanto è già stato espresso così bene di per sé, domandandosi molto più pragmaticamente “che fare?”.
Nella sua lettera agli artisti (era la Pasqua del 1999) Giovanni Paolo II sottolineava con forza che uno degli errori degli artisti moderni era quello di aver separato la questione del bello dalla questione dell’uomo in generale, ricordando che l’uomo, prima ancora che creatore del bello, deve essere uno che lo cerca e ne segue le epifanìe. Per contro già allora e ancor di più oggi, illustri maître à penser che gestiscono i mass media hanno fatto e fanno addirittura della scissione del vero dal giusto e dal bello un progetto culturale e professionale. È così che molta programmazione televisiva ha portato a sostituire la realtà con una sua protesi artificiale, allo scopo – è stato teorizzato – di «provocare emozioni in chi non è più in grado di provarne nella vita di ogni giorno… senza aver timori di perseguire una televisione politicamente scorretta… senza aver paura di usare il linguaggio della violenza, che è quello dei giovani di oggi…» (Carlo Freccero). Un esempio lampante di come e di quanto un’intera estetica abbia deciso di troncare deliberatamente il proprio rapporto con la ricerca della verità rifugiandosi nel più assoluto relativismo etico. Che è l’altro tema su cui ci ha invitato a riflettere più volte Benedetto XVI. Perché il fatto più grave di fronte al quale ci troviamo, proprio mentre sta impazzando la moda della “Responsabilità Sociale dell’Impresa”, è proprio il chiamarsi fuori da questa responsabilità da parte di vertici dei mass media, autori, conduttori, pubblicitari, ecc., che invocano ora il mercato, ora l’audience come unici parametri da tenere in considerazione.
Poiché viviamo nella cosiddetta civiltà dei consumi, sarebbe certamente antistorico non tenere nel dovuto conto l’uno e l’altra. La questione molto semplice è che non possono essere gli unici parametri, come invece sempre più spesso si ritiene. Perché nessuno ha mai dimostrato (anzi) che sia impossibile informare, divertire o interessare il pubblico rispettando nel contempo la dignità della persone, il buon senso e il buon gusto. Mentre è facile comprendere come le facili scorciatoie a base di sensazionalismo, sangue, insulti, gratuita esibizione del nudo, semplifichino assai il lavoro di autori, conduttori e creativi. Con quale risultato, ben lo sappiamo. Come se non bastasse, il problema si sta complicando sempre di più, perché nuovi mezzi di comunicazione ancor meno controllabili espongono tutti ad un’offerta di contenuti nei quali è in larga parte privilegiata la ricerca del puro e semplice trash… Di questa civiltà (?) sono figli quei ragazzi senza alcun rispetto della dignità umana né pietas, come ad esempio quella giovanetta che si è precipitata a fotografare il cervello spiaccicato sull’asfalto di una sua coetanea investita da un autobus per esibirne le istantanee su You Tube (dal quale fortunatamente le immagini sono state prontamente rimosse). Ecco perché sembrano così antidiluviane le invocazioni al ritorno di un tv pedagogica (anche se qualunque mezzo di comunicazione lo è comunque, nel bene o nel male…).
Nel mio avventuroso periodo durato 4 anni nel CdA della Rai, dal 1998 al 2002, ho provato con qualche raro successo a insistere per una programmazione migliore. Ero persino riuscito a far porre al primo punto della missione del servizio pubblico “Elevare il senso critico del paese”, obiettivo raggiungibile attraverso una programmazione variegata, ricca, anche esteticamente pregiata, che avendo questa bussola avrebbe molto più facilmente evitato di scadere nel becero, nel triviale, nello scandalistico. Forse quel punto c’è ancora, ma non mi pare che quella bussola sia stata molto usata. Comunque il problema più grave non è costituito da qualche ballerina succinta (altrimenti occorrerebbe bombardare con il napalm le edicole davanti alle quali passano ogni giorno i bambini per andare a scuola…), ma dal relativismo etico imperante in gran parte dei programmi. E la strada da percorrere non può limitarsi alla protesta per ottenere, quasi a mo’ di riparazione, alcuni spazi televisivi per eventi supercolti o per manifestazioni liturgiche, tra l’altro spesso in grado di raccogliere di per sé grandi audience. Bisogna invece impegnarsi per aiutare chi si vuole spendere per allevare una classe dirigente dei mass media intenzionata a elevare il senso critico, ispirandosi al prioritario valore del rispetto della persona, valore che dovrebbe essere condiviso sia dai laici che dagli uomini di fede. Una fatica piuttosto improba, visto che nel frattempo la famiglia ha lasciato sempre più soli i bambini davanti alla tv, ai videogiochi e a internet, senza insegnar loro come maneggiare il tutto: con risultati drammatici dal punto di vista della loro crescita, perché i ventenni di oggi – e lo si riscontra ogni giorno all’università – non sono nemmeno più padroni della lingua italiana, figuriamoci del senso critico e di uno straccio d’etica o di estetica!
Chi si appresta a governare ha oggi un’enorme responsabilità, in quanto i mezzi di comunicazione di massa come lo sviluppo dell’informatica possono dare un grande contributo allo sviluppo di un sistema-paese in declino sotto molti aspetti. Un paese che non può crescere se non cresce anche il senso critico dei cittadini. Certo è più difficile di quanto non lo fosse ai tempi di Bernabei, ma è ancora possibile…ed è forse l’ultima occasione per sviluppare un grande progetto culturale che coinvolga servizio pubblico, scuola e università. Tutto dipende dagli uomini che verranno scelti ad esempio per il servizio pubblico: portaborse capaci di accontentare i più diversi appetiti (quelli dei loro referenti politici e quelli propri….) o professionisti animati dall’idea di poter svolgere un compito di portata storica? I mass media di carattere commerciale dal canto loro non possono più nascondersi dietro l’alibi dell’audience a tutti i costi, visto che grandi imprese stanno cominciando a togliere la pubblicità da programmi volgari e rissosi. Indubbiamente non è facile tenere questa rotta in un momento di grande crisi economica, ma dato che la responsabilità sociale dell’impresa è in una fase di grande spolvero, gli operatori dei mass media dovrebbero essere i primi a farsene portatori, visto che il loro prodotto incide sul comune sentire e sull’ecologia della mente. È un compito difficile, ma anche terribilmente affascinante. Basterebbe cominciare ogni giorno, nel mettersi all’opra, riflettendo sulle parole che Marguerite Yourcenar fa pronunciare all’imperatore Adriano: «Mi sentivo responsabile della bellezza del mondo».