La Chiesa ha maturato, nei vari secoli della sua storia e nelle circostanze più diverse, il concetto di libertas Ecclesiae non come una libertà da (non, ad esempio, come libertà dallo Stato), ma, fondamentalmente, come la possibilità di essere se stessa, di esprimere la sua originalità culturale ed etica, fino alle diverse conseguenze di carattere culturale, sociale e politico.
La libertà è caratteristica fondamentale della presenza della Chiesa e della sua missione, secondo la grande intuizione ambrosiana dell’«ubi fides, ibi libertas». In questo senso la libertà della Chiesa di essere se stessa, cioè di vivere la sua missione, rappresenta un grande fattore di inculturazione della fede e di creazione di una forma di società. Tale forma di società non si deduce meccanicamente dalla fede, ma è stata certamente, in alcuni momenti della storia della Chiesa, un’espressione significativa e singolare della novità dell’esperienza cristiana. Basti pensare allo straordinario insegnamento che Christopher Dawson ci ha lasciato sulla civiltà occidentale, che non è l’unica possibile civiltà cristiana, e non deve quindi essere né idealizzata né sacralizzata astrattamente, ma certamente è un’espressione particolarmente significativa e ben riuscita di una inculturazione della fede.
Da questo punto di vista, il concetto di libertas Ecclesiae è andato maturando lungo tutta la grande tradizione canonistica medioevale, fino ad arrivare all’inizio della società moderna. Allorquando lo Stato ha preteso di riprendersi una totalità di presenza nella vita della persona nella società, è proprio sul concetto di libertas Ecclesiae che la Chiesa ha ingaggiato la sua plurisecolare resistenza all’assolutismo e al totalitarismo moderno. Se la Chiesa deve essere libera di essere se stessa, e non può che tendere a questa libertà perché essa è condizione della sua presenza e della sua missione, allora è chiaro che deve denunciare tutti i tentativi che nel corso della storia si sono attuati per restringere questa libertà di missione: libertas Ecclesiae è sinonimo di libertà di missione, libertà di presenza.
La Chiesa attua questa sua libertà di presenza anche contestando quelli che essa ritiene non-valori, pur accettando che essi diventino operabili. I valori in quanto si negoziano in un dibattito politico o parlamentare, infatti, non ricevono da questo dibattito la loro validità, ma semplicemente la loro “operabilità” in un contesto. La positività o meno di un valore, sulla cui discussione si inserisce la libera azione di presenza e di testimonianza della Chiesa, è nella corrispondenza tra questo valore e la natura profonda dell’uomo.
Come già detto, la libertà nell’esperienza cattolica non è mai una libertà da, non è una libertà di fuga, ma una libertà di presenza. In che contesti questo concetto di libertas Ecclesiae è stato singolarmente sfidato, e quindi è maturato? Noi sappiamo, infatti, che le sfide della storia sono le sfide attraverso le quali un soggetto autenticamente storico matura, approfondisce la consapevolezza della sua identità e ne matura una capacità attuativa.
La sfida più grossa alla libertas Ecclesiae è venuta da quel fenomeno che globalmente possiamo chiamare totalitarismo moderno, da intendersi non come un modo di esercitare il potere, ma innanzitutto come un modo di concepire il potere. Nella civiltà occidentale cristiana, dominata dal concetto di libertas Ecclesiae, ci sono stati certamente dei modi autoritari di esercitare il potere, ma mai una concezione autoritaria del potere. Viceversa, nell’età moderna ci sono stati modi di pensare l’attuazione del potere singolarmente corretti dal punto di vista procedurale (ciò che Annah Arendt chiamava la “democrazia totalitaria”), ma la concezione del potere è, dall’età moderna in poi, una concezione totalitaria. Una concezione cioè secondo cui la società e quindi lo Stato si presentano come i valori definitivi della persona e della società stessa: la sintesi della personalità individuale, la sintesi dell’esperienza della socialità nella sua articolazione e variegazione trovano il loro contenuto definitivo nello Stato. È proprio a proposito di questo Stato autoritario che Pio IX, nel Sillabo, ebbe a dire che «lo Stato come fonte autonoma di tutti i diritti gode di un diritto che non conosce confini». Di fronte a questa concezione, la Chiesa ha affermato con forza che c’è un confine, che lo Stato non può superare: il confine della coscienza personale. E in questo senso è sorta una battaglia contro il totalitarismo di Stato o di partito.
Adesso, invece, la minaccia forse più grande è quella di un totalitarismo della tecnoscienza e della sua follia: la versione più terribile del totalitarismo di oggi (benché molti cattolici non se ne rendano conto) ha il volto terribile della follia della tecnoscienza.
Per questo come cattolici dobbiamo avere una grande gratitudine per Giuliano Ferrara; non perché ha presentato una lista (cosa che riguarda un aspetto tecnico-partitico che non intendo analizzare), ma perchè ha riproposto con chiarezza che l’attacco alla vita, e quindi l’attacco alla persona e alla sua libertà, oggi viene dalle follie della tecnoscienza.
Lavorando per la propria libertà, la Chiesa ha lavorato per la libertà di tutti, secondo l’espressione sintetica della Centesimus Annus fatta propria ripetutamente da Benedetto XVI. Se in Occidente, e non solo, si è salvata la libertà della coscienza e quindi la libertà dei popoli e delle nazioni contro questo totalitarismo omologatore di tutto ed eversore di tutte le differenze, è accaduto perchè la Chiesa ha difeso la sua libertà di essere Chiesa, cioè di non dover necessariamente confluire nel confine dello Stato, e di essere di fronte allo Stato una realtà non riducibile ad esso o in alternativa ad esso.
Quindi esiste una distinzione: ed è la Chiesa stessa, innanzitutto, a ritenere che Stato e Chiesa siano nel loro ordine «distinti e sovrani», come dice la Costituzione italiana, ripetendo peraltro una definizione data nel quinto secolo da Papa Gelasio. Ma proprio perché sono distinti c’è una irriducibilità per cui la Chiesa non diventa mai politica, e la politica non può mai diventare Chiesa. Nella sua essenza profonda, il ribadire che la Chiesa è e deve essere libera di esercitare una presenza missionaria nel mondo, ha significato anche affermare questo principio, poi ripreso dalla nostra Carta Costituzionale.