Ancora una volta, nel recente viaggio negli Stato Uniti, Papa Benedetto XVI ha affermato l’importanza di non relegare la fede alla sfera privata, superando «ogni separazione tra fede e vita», e soprattutto rigettando la «falsa dicotomia» tra fede e politica.
Si tratta di affermazioni che rilanciano un tema su cui ilsussidiario.net ha aperto un ampio dibattito: il tema della libertas Ecclesiae. La libertà della Chiesa di essere viva e presente nella società, e di porsi come soggetto dotato di una rilevanza pubblica.
Una rilevanza pubblica che viene ammessa e riconosciuta anche da un laico come il giurista Stefano Rodotà, intervistato da ilsussidiario.net, sebbene poi tale presenza pubblica della Chiesa venga dallo stesso Rodotà valutata con criteri e con una serie di distinzioni che destano certamente più di una perplessità. Ma vale comunque l’affermazione di un principio di libertà di espressione, da non intendersi solo in termini astratti, ma come riconoscimento di una concreta presenza nella società. Il concetto della libertas Ecclesiae ha d’altronde un forte radicamento storico e culturale, che si è poi espresso al massimo grado nel confronto con la concezione “totalitaria” del potere, tipica dell’età moderna. Come emerge nell’analisi di Mons. Luigi Negri, la Chiesa è stata negli ultimi secoli un argine contro gli eccessi di uno Stato che si è spesso voluto concepire come padrone della vita del cittadino, salvaguardando quindi la libertà dell’uomo in quanto tale, e non solo in quanto cristiano.
Una «garanzia di libertà per tutti», come già abbiamo definito la libertas Ecclesiae. Questa è la tradizione secolare che dalla tarda antichità, attraverso i lunghi e fecondi secoli del Medioevo, ha portato la Chiesa nell’età moderna e contemporanea a proseguire nella sua opera di salvaguardia della dignità assoluta dell’essere umano, e della sua irriducibilità a qualunque schema di potere.



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