Giovannino Guareschi ha esplicitamente definito, all’inizio della sua opera, Don Camillo e Peppone come due persone «unite sulle cose essenziali»: cosa vuol dire?
I personaggi dei libri di Guareschi sono personaggi reali, più dei personaggi dei film (su cui infatti Guareschi aveva espresso delle perplessità). Sono personaggi che partono dal loro desiderio di verità e di giustizia, da una fede vissuta in modo umano, da un ideale comunista, che cerca di rispondere al bisogno di giustizia. Gente così non può che incontrarsi. Guareschi fa, con i suoi libri, quell’Italia che, pur avendo al suo interno idee assai diverse, ha costruito in un’unità profonda il benessere del nostro Paese. È la gente del nostro popolo, che è rimasto unito molto più di quanto le divisioni ideologiche lo abbiano spaccato, e questo è il motivo per cui questa gente si incontrava.
Lei parla di un popolo rimasto unito: questo significa che la questione non è rievocare nostalgicamente un mondo, il “mondo piccolo”, che ora non c’è più…
Il popolo è unito da un avvenimento che genera un’unità, e il popolo di Guareschi è unito dall’avvenimento della vita di un paese vissuta a partire dal desiderio di verità. La gente di Guareschi era gente per cui la fede era risposta al desiderio di verità, e per cui il comunismo era una riposta al desiderio di giustizia. Questa non è una cosa del passato: ogni posizione umana porta con sé una risposta a un bisogno.
Qual è dunque il punto di attualità di Guareschi?
Il punto di attualità è quel profondo desiderio di verità senza il quale la fede è morta, e senza il quale l’ideale diventa ideologia; è quel bisogno di popolo senza cui il nostro Paese non andrà da nessuna parte, qualunque sia il tipo di governo che avrà. Penso soprattutto a quello che disse Giussani dopo Nassiriya: «se ci fosse un’educazione del popolo, tutti starebbero meglio». Nei libri di Guareschi si capisce che quell’educazione c’era veramente, ed era il fattore determinante.
Cosa vuol dire che l’educazione è un fattore fondamentale del mondo narrato da Guareschi?
Vuol dire che don Camillo, al di là delle macchiette dei film, è un personaggio che non smette mai di educarsi e di educare. L’educazione di don Camillo nasce dal continuo rimettersi in discussione dopo ogni errore: non è un personaggio senza errori, è un passionale, che crede profondamente, che ha fede, che ha umanità, che crede nella gente che gli sta intorno, ma capisce di sbagliare. Questo continuo ammettere l’errore e ricominciare è l’educazione a cui si sottopone e a cui sottopone la gente del paese. Peppone stesso è uno che, nonostante si fosse in un periodo di totale ideologia (quella che Guareschi bollava con il suo Candido), lotta contro questa ideologia in nome del desiderio vero di giustizia. Allora capiamo perché, quando c’è lo sciopero per cui non si mungono le vacche, Peppone va a mungere in segreto con don Camillo; quando arriva l’ideologo che crea odio nel paese, gli si schiera contro; quando sostituiscono don Camillo col pretino giovane cattocomunista, lui sta con don Camillo. È un’educazione continua, da parte di don Camillo e Peppone, del popolo che hanno intorno, e intorno a loro crescono tutti gli altri personaggi.
Lei ha opposto don Camillo al pretino cattocomunista; eppure molti dicono che l’amicizia tra don Camillo e Peppone è l’archetipo dell’accordo tra cattolici e comunisti
Racconto un episodio che rende evidente la pochezza di quel cattocomunismo, e di tutti i cattocomunismi. Il pretino che sostituisce don Camillo pontifica dal pulpito contro il vecchietto che lavora, e fa in modo che venga portato all’ospizio: il giorno dopo lo stesso vecchietto viene trovato morto sotto il muro dell’ospizio, perché aveva tentato di scavalcarlo per tornare a vivere e a lavorare, e a fare le cose senza le quali non poteva stare. Questo è il punto: il pretino è l’ideologia di un cristianesimo che non serve neanche a chi lo pratica, perché diventa un giustizialismo come quello che vediamo oggi: non è per il vero popolo. La posizione di don Camillo invece è sfaccettata, è l’incontro con i personaggi, l’ascolto della gente, ed è, in nome della fede che risponde all’umano, la capacità di percepire i bisogni, uno per uno. Nel pretino, invece, c’è la massificazione dei bisogni.
L’episodio appena narrato porta alla mente anche l’importanza del lavoro nei racconti di Guareschi
Non per niente Peppone è innanzitutto un grande meccanico. Neanche Peppone, capo del partito e sindaco, si esime da questo aspetto. Perché il lavoro fa parte del popolo: la gente del popolo lavora, mangia, fa festa, fa famiglia. Sono tutte cose unite. Non stanno unite solo nelle analisi degli intellettuali, degli editorialisti che scrivono sui grandi giornali. Nei discorsi, cioè, di tutti coloro che non hanno mai capito il popolo, e che non per nulla hanno sempre considerato Guareschi uno scrittore minore.
Effettivamente l’opera di Guareschi, più che criticata, è stata snobbata dalla critica, considerata appunto “minore”: perché?
Precisiamo una cosa: è considerata minore dai critici che, tanto per intenderci, hanno osannato i romanzi semipornografici di Alberto Moravia. Sono quelli che danno valore a una cultura non di sinistra, ma radicale, che hanno fatto delle classifiche totalmente ideologiche: hanno ignorato Manzoni, Bacchelli, hanno diminuito l’opera di Rebora, hanno dimenticato Ada Negri. Quelli, insomma, che alla fine hanno preferito che il nobel andasse a Dario Fo anziché a Mario Luzi. È la critica da strapazzo, il “culturame” che ha rovinato l’Italia del dopoguerra e che ha albergato nei giornali che vanno per la maggiore. Questa è la parte peggiore della storia italiana. Guareschi invece è un grande scrittore, è uno dei grandi rappresentanti della narrativa italiana, sul filone soprattutto di Manzoni, con cui condivide la grande capacità di leggere e sfaccettare persona per persona. È la grande tradizione della letteratura cattolica. Ed è per questo che ha avuto un successo popolare e di critica nel mondo.
Una grande tradizione cattolica che nei racconti di Guareschi è resa presente addirittura dalla figura del Cristo che parla. Che significato ha questo elemento?
Il Cristo che parla è il Tu, è la vera fede in cui il Cristo è un Tu. All’inizio del Mondo piccolo, per liberarsi dai falsi ortodossi, Guareschi dice: se ve la prendete con il fatto che faccio parlare il Cristo, sappiate che il Cristo di cui parlo è il Cristo della mia coscienza. Cosa vuol dire? Che è il Tu che c’è nella realtà e che c’è dentro di te. Questo Cristo è il Cristo oggettivo che ti parla dentro, è il Tu con la “t” maiuscola, con cui ognuno ha a che fare.
Infine, un altro elemento essenziale nei racconti di Guareschi è la sua terra, la Bassa, senza la quale i suoi personaggi quasi non potrebbero esistere…
Don Camillo non poteva essere scritto né in Brianza, né nel varesotto, né in Sicilia, né nella Ciociaria, né in nessun altro posto. È frutto di quel mondo della Bassa di cui parla all’inizio del Mondo piccolo, quel mondo di nebbia in cui può apparire un giorno a parlarti il fantasma di un amico morto, in cui la terra è animata, in cui in qualche modo il paesaggio, l’ambiente, la natura, gli animali sono tutt’uno con l’uomo. Un mondo sommesso: questa terra intorno al fiume, così poco retorica, così poco boriosa e presuntuosa, la cui bellezza è quella di una donna che non si mostra, ma così profondamente umana. È una terra modellata nei secoli dall’uomo, una natura che è totalmente a sua immagine e nello steso tempo è rimasta caratterizzata da quel non so che di selvaggio, che non è primitivo, ma è più precisamente il non addomesticato. Per cui i personaggi sono i personaggi della Bassa, sono i personaggi alla Gianni Brera di qualche anno dopo, i personaggi del Mulino del Po, i personaggi come Madre Cabrini, don Giussani, san Riccardo Pampuri. Questi santi sommessi, che però nel lungo andare sono come il vino di queste terre, che con il retrogusto viene fuori, senza essersi all’inizio imposto in modo violento.
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