1. Vita extraterrestre e teologia

A dispetto dell’enfasi con cui è stata presentata (come del resto è consuetudine dei mass-media), la recente dichiarazione di padre José Gabriel Funes, attuale direttore della Specola Vaticana, a proposito della possibile esistenza di esseri intelligenti fuori dalla Terra non costituisce affatto una novità né, tantomeno, una “svolta” o una “rivoluzione”. Al contrario, essa si pone in perfetta continuità con una linea di pensiero già da tempo esistente sia nel mondo cattolico che, più in generale, cristiano (in particolare nell’ambito del protestantesimo anglosassone). Benché infatti su questo tema i pronunciamenti dei teologi siano stati finora assai pochi, l’opinione di gran lunga prevalente è che l’esistenza degli extraterrestri sia perfettamente compatibile con la fede cristiana, qualche problema (comunque risolvibile) potendo eventualmente sorgere solo riguardo alla loro posizione nella storia della salvezza. Quanto ai Papi, nessuno fino ad ora è intervenuto sulla questione con modalità tali da impegnare il Magistero. Solo tre in tutta la storia ne hanno fatto cenno, sempre brevemente e in maniera informale: uno contro (Zaccaria I) e due a favore (Pio XII e Giovanni XXIII). In ogni caso, va notato che le Scritture non parlano dell’argomento, il che significa che la questione resta aperta e la sua soluzione (se mai potrà essere trovata) è demandata alla scienza.
Vediamo dunque qual è la situazione attuale dal punto di vista della ricerca scientifica, cercando anche di sfatare alcuni luoghi comuni.



2. La Bioastronomia

La ricerca della vita nello spazio è oggetto della Bioastronomia. È chiaro che la sua eventuale scoperta costituirebbe una rivoluzione scientifica senza precedenti, tuttavia un conto sarebbe trovare la vita in forme semplici, un conto ben diverso invece trovare vita intelligente (del che parleremo più avanti). Quanto alla vita semplice, può essere scoperta o direttamente, trovando esseri viventi su un altro pianeta del Sistema Solare, o indirettamente, trovando prove dell’esistenza di esseri viventi su un pianeta extrasolare attraverso i telescopi. Il primo caso è più interessante, ma potremmo non riuscire a stabilire se si tratta realmente di un altro inizio, indipendente dalla vita sulla Terra, perché sappiamo ormai, grazie soprattutto alla biologa tedesca Gerda Horneck, che i batteri possono passare da un pianeta all’altro a bordo delle meteoriti. Comunque, se si trovasse evidenza di un’altra origine indipendente della vita, ciò significherebbe che la vita è un esito normale dell’evoluzione cosmica, perché tale scoperta avverrebbe (su scala cosmica) “nel giardino di casa nostra”. Ma se la vita fosse rara, la probabilità di due inizi indipendenti così ravvicinati sarebbe praticamente nulla.

3. La situazione attuale



Generalmente per orientarsi nella discussione si segue la famosa equazione di Drake:
N = R* · fp · ne · fl · fi · fc · L
dove:
N = numero totale di civiltà comunicanti fra loro nell’universo;
R* = tasso di formazione delle stelle;
fp = frazione di stelle che hanno pianeti;
ne = numero di pianeti per stella adatti a un’ecosfera;
fl = frazione di pianeti adatti su cui la vita evolve davvero;
fi = frazione di linee evolutive che giungono all’intelligenza;
fc = frazione di civiltà intelligenti che tentano di comunicare;
L = longevità media di una civiltà tecnologica.
Vediamo cosa si può dire allo stato attuale delle conoscenze (il solo dato osservativo sicuro è il primo, le altre sono stime mie, che non valgono più di quelle di chiunque altro – ma neanche meno).
R* = 20 per anno per galassia;
fp = da 10% a 100%;
ne = probabilmente significativo (da 1% a 90%?);
fl & fi = sono le grandi incognite;
fc = probabilmente molto elevata (quasi 100%);
L = verosimilmente elevata (da 10 milioni di anni in su);
il che porta ai seguenti valori massimi e minimi per la Galassia:
N = 200.000 e N = 180.000.000,
che vanno moltiplicati per 100 miliardi (il numero totale delle galassie) se vogliamo ottenere la cifra relativa all’intero universo visibile, che andrebbe così da 1016 fino addirittura a 1019 (10 miliardi di miliardi!) per i valori massimi.
Possono sembrare cifre enormi, ma non va dimenticato che mancano ancora all’appello i valori dei due parametri cruciali fl e fi, su cui a oggi, checché se ne dica, non sappiamo ancora praticamente nulla. Potrebbe sembrare che in ogni caso essi non possano modificare sostanzialmente la situazione, ma in realtà anche cifre grandi come queste possono essere facilmente “mangiate” da pochi fattori molto improbabili o anche da molti fattori in se stessi tutti abbastanza probabili. Di fatto, basterebbe che la vita richiedesse 3 fattori indipendenti con un po’ meno di una probabilità su un milione di realizzarsi, o 5 con una probabilità su 10.000, o una decina con una probabilità su 100, perché la sua probabilità totale di realizzarsi risulti uguale o addirittura inferiore a 1 su 1019, portando alla conclusione che siamo soli e che anzi ci è andata ancora bene, perché avremmo potuto non esserci neanche noi.



4. Il programma SETI

Poiché, a dispetto del nostro immaginario, i viaggi interstellari sono molto probabilmente impossibili, dagli Anni Sessanta esiste il programma SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), iniziato dall’americano Frank Drake, che cerca possibili segnali radio provenienti da altre civiltà attraverso i radiotelescopi. Tuttavia con gli attuali mezzi si può sperare di riconoscere solo un segnale intenzionale e molto potente. Solo con l’aumento della sensibilità dei ricevitori e il miglioramento degli algoritmi che devono identificare i segnali si potrà cominciare a fare sul serio.
In definitiva, quindi, l’esistenza di civiltà extraterrestri è, al momento, perfettamente compatibile con le nostre conoscenze, ma non più di quanto lo sia la loro inesistenza.

5. Un identikit per ET

È possibile prevedere le caratteristiche dei nostri ipotetici interlocutori? Sorprendentemente, sì! Infatti il contatto attraverso le onde radio pone dei vincoli molto stringenti.
Tanto per cominciare, dovrebbero essere abbastanza intelligenti e progrediti da poter costruire dei radiotelescopi. E poiché è molto improbabile che siamo esattamente alla pari, segue che saranno quasi certamente ad un livello tecnologico superiore al nostro.
Inoltre dovremmo aspettarci che siano capaci di comprendere (anche se non necessariamente di condividere) i nostri concetti morali e religiosi. Per fare scienza infatti occorre, tra le altre cose, essere capaci di immaginare differenti futuri possibili e di scegliere fra di essi. Ma questo è anche tutto ciò che occorre per essere agenti morali! Infatti un atto morale non è altro che una scelta le cui conseguenze coinvolgono qualcun altro. D’altro canto, la questione religiosa ha a che fare da un lato con il problema della causa prima dell’Universo e dall’altro con quello del fondamento ultimo della morale, per cui non può risultar loro estranea.
Terzo, la loro costituzione chimica sarà piuttosto simile alla nostra, perché la chimica del carbonio è quasi certamente la base universale della vita, dato che è incomparabilmente più complessa e varia di qualsiasi altra.
Quarto, dobbiamo aspettarci che vivano sulla terraferma, perché la tecnologia può nascere solo grazie al fuoco, che non si può accendere nell’acqua.
Inoltre dovremmo aspettarci una forma, se non umana, perlomeno vagamente umanoide. Infatti caratteristiche come la postura eretta, la visione binoculare, la disponibilità di arti agili e sensibili e, in particolare, della mano o comunque di qualcosa di molto simile ad essa sono tutte necessarie per lo sviluppo della tecnologia.
Infine è probabile (benché non assolutamente certo) che la prima civiltà che contatteremo sia tipica: non c’è infatti motivo di aspettarci che il nostro primo contatto abbia qualcosa di speciale, dato che né la tecnologia dei nostri radiotelescopi né la nostra posizione nella Galassia hanno qualcosa di speciale.