Massimo D’Alema, rilanciando sul Corriere della Sera il dibattito relativo al rapporto tra religione e democrazia, manifesta perplessità intorno al cosiddetto relativismo etico, dichiarandosi invece a favore della pluralità di culture. C’è contraddizione fra le due cose?
Innanzitutto vorrei andare alle radici della parola democrazia e all’esperienza che la fonda. La democrazia nasce come potere affidato al popolo, ma questo potere trova il suo fondamento soltanto in un’esperienza di appartenenza. Senza un’esperienza di appartenenza la democrazia non può vivere. Il popolo stesso, che deve esprimere poi la sua volontà, si radica in diverse idealità, comunità, storie, esperienze, appartenenze. Da qui l’aspetto di maggioranza e minoranza, che costituisce una delle anime della democrazia, anche se non l’unica. Senza appartenenza, dunque, la democrazia non può vivere. Qui secondo me sta il nucleo fondamentale del dibattito di oggi: se appartenere vuol dire non potere vivere efficacemente e creativamente in una forma democratica di vita, cioè se l’appartenenza nega la democrazia.
Io ritengo che l’appartenenza fondi la democrazia, proprio perché l’esperienza dell’appartenenza apre le persone e le comunità all’incontro con le altre persone e le altre comunità. Per questo la preoccupazione della Chiesa, o di alcuni uomini di chiesa più consapevoli, fra cui Benedetto XVI, sul rischio culturale del relativismo, non è una preoccupazione ideologica, è non è neppure fondamentalmente una preoccupazione etica: è sostanzialmente una preoccupazione che riguarda la vivibilità e il bene dell’uomo. L’uomo che non ha appartenenza è un uomo violento, perchè vive con paura e quindi cerca di affermare se stesso attraverso delle forme di prevaricazione. L’uomo che invece vive nell’appartenenza vive in una capacità di apertura e di dialogo. Qui sta il nucleo essenziale di tutto il dibattito di oggi.
Il discorso di D’Alema prende anche le mosse dalle critiche che il filosofo Todorov ha mosso nei confronti del presidente francese Sarkozy e al suo richiamo all’importanza delle radici cristiane dell’Europa e della Francia: come vede lei questo richiamo “laico” all’identità cristiana europea?
Oggi, se si guarda all’Europa, non si possono escludere altre esperienze rispetto al cristianesimo: la modernità, l’Illuminismo etc. (altro poi è il discorso se siano pensabili queste esperienze al di fuori della storia cristiana). Penso che nessuno possa affermare che la storia d’Europa è solo la storia del cristianesimo: è la storia della grecità, è la storia di Roma, certamente è la storia della tradizione giudaico-cristiana che si è innestata in quelle radici e che poi ha assunto diverse movenze. Ma, al di là di queste considerazioni, quello che mi sembra si voglia creare oggi è un futuro sganciato dal passato. Il passato non è una realtà che si fonda per essere ripetuta, quindi non c’é nulla di tradizionalista o peggio ancora di reazionario in questo richiamo alle radici; ci vuole invece la consapevolezza del proprio passato. Basta guardare un ragazzo: non può crescere uccidendo suo padre e sua madre.
In questo dibattito è emerso anche il timore che sulla difesa delle radici e dell’identità cristiana si stia creando una sorta di alleanza politica tra la Chiesa e la Destra, sia in Italia che altrove. Cosa pensa di questo giudizio?
Penso che questa considerazione sia sbagliata perché non è realistica, non descrive cioè la realtà di oggi. Che nella Chiesa, come in ogni comunità, ci possano essere tentazioni di potere, questo “ça va sans dire”, è la tentazione dell’uomo e la tentazione di ogni comunità. Io oggi vedo i cattolici nelle diverse realtà sociali, culturali e politiche del Paese. Non vedo la possibilità di alleanze tra mondo della Destra e mondo della Chiesa; anzi, all’opposto sembra che la Chiesa stia cercando una sua rappresentanza plurale all’interno dei diversi mondi.
Perché, sia a destra che a sinistra, è così forte l’attenzione nei confronti della posizione della Chiesa?
La Chiesa rappresenta nella storia lontana, ma soprattutto nella storia recente, l’esperienza di una appartenenza creativa. E si guarda questa appartenenza creativa perché si sta scoprendo la debolezza di tante altre appartenenze. Io vedo una forza politica nella Chiesa e nei cristiani, e dove essa sa essere vera, risponde alla propria identità e alla propria storia, creando certamente un’attrattiva. È l’attrattiva che esercita una comunità in cui soprattutto un’opera educativa riesce a tramandarsi, a fronte invece di un debolezza educativa presente oggi nelle famiglie e nelle scuole.