Non occorre essere degli inguaribili ottimisti per notare un elemento positivo nell’attuale dibattito italiano sulla questione della laicità dello stato. Chi riesce, magari con l’aiuto di un buon machete, a passare attraverso il fitto intrico di polemiche occasionali spesso strumentali, si accorge che qualcosa si muove e il dibattito non è più tra sordi. A ciò ha contribuito non poco l’eco del dialogo che a Monaco di Baviera nel 2004 vide protagonisti il grande filosofo tedesco Jürgen Habermas (punto di riferimento imprescindibile di ogni pensiero progressista) e l’allora cardinal Joseph Ratzinger. Circola da allora in maniera sempre più insistente il cosiddetto Dilemma di Böckenförde: Lo Stato liberale secolarizzato vive di presupposti che non può garantire.
Il punto essenziale di tale nuovo clima culturale sta nella sempre più diffusa consapevolezza che lo stato laico liberal-democratico occidentale, lungi dall’essere l’esito ovvio della modernizzazione, costituisce il punto di arrivo tanto sorprendente quanto fragile di una peculiare evoluzione storica. Un’evoluzione che trova le proprie radici nella graduale de-sacralizzazione del potere politico che s’è compiuta nell’Europa cristiana medievale, di cui lo stato laico moderno è il prodotto preterintenzionale.
Da questo punto di vista la decisione dei cristiani del tempo di S. Ambrogio di non lasciare confinare la propria religione nell’ambito del diritto privato (visto che il diritto pubblico era di origine divina) ha stabilito un equilibrio instabile tra potere politico e potere spirituale foriero certo di pericolose involuzioni in senso teocratico o secolarista, ma pure di un dinamismo capace di fecondare in maniera più unica che rara la vita sociale e culturale dei paesi europei. Se questo è vero, la speranza di risolvere una volta per tutte tale tensione in un senso o nell’altro costituisce una tentazione tanto comprensibile quanto deleteria.
Se pensiamo al periodo delle cosiddette Guerre di religione a cavallo tra Cinque e Seicento, ci rendiamo conto di quanto l’esistenza di un potere statale laico abbia contribuito a salvare le chiese cristiane dalla propria tentazione integralistica. Ma se consideriamo la storia contemporanea, è giusto rilevare che l’intransigenza di cui le chiese cristiane sono state a volte capaci nei confronti delle pretese totalitarie del potere politico ha restituito a questo il senso autentico della propria laicità. E ciò è stato possibile solo nei limiti in cui le chiese sono state capaci di difendere attraverso i martiri la coscienza individuale come luogo di rilevanza pubblica assoluta che supera lo stato e si legittima anche in base a una pretesa divina.
In definitiva la laicità, intesa come ciò che rende possibile la convivenza nella città, è l’esito di un rapporto tra stato e chiesa in cui entrambi non tradiscono il rapporto con la verità della propria origine, in quanto l’essere vero in questo senso implica l’accoglienza e la difesa dell’identità dell’altro.



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