Israele ha sessant’anni.
Sessant’anni di una intensità incredibile. Ogni giorno, dal 1948, è stato un giorno di lotta per la vita, quasi un compleanno celebrato di continuo. Israele ha rischiato, e forse ancora rischia, di scomparire come nessun altro stato nel mondo. I suoi nemici sono stati – e sono – insidiosi, subdoli, sempre più pericolosi, nel loro dissimularsi. Molti paesi, ancora, non riconoscono l’esistenza di Israele; ci sono leader, come il presidente iraniano Ahmadinejad, accreditati nello schacchiere internazionale che ne postulano quotidianamente e impunemente la distruzione.
Nonostante questo, però, Israele è un inno alla vitalità.
Dopo guerre, polemiche, tragedie, morti in ogni famiglia, Israele, nel 2008, è forte, un esempio concreto verso il quale guardare. Dal deserto è fiorito un sistema agricolo di eccellenza, dal nulla è emerso un modello economico realmente competitivo, dai soli ingegni degli israeliani è scaturita una realtà accademica e di ricerca all’avanguardia. Non c’è settore nel quale Israele non sia portatore di un messaggio originale: gli scrittori israeliani, i musicisti, gli artisti, gli uomini di cultura hanno mostrato una “via israeliana”, un’impostazione del tutto particolare e riconoscibile. Israele è una democrazia giovane, giovanissima, ma è quanto mai solida, strutturata, innovativa. Israele è – e rimane – l’unica democrazia del Medio Oriente, attorniata da regimi dittatoriali e totalitari, dove i diritti umani, civili e politici non trovano alcun riconoscimento.
Anche sul piano sociale, Israele rappresenta uno straordinario riferimento, al cui interno va realizzandosi una autentica multiculturalità, fondata sull’incontro di tradizioni, esperienze tra loro diverse.
Ma perché la celebrazione del sessantesimo dello stato ebraico crea, accanto a tanta ammirazione, pure così forti polemiche? Perché, per esempio, si sono scatenate polemiche così violente alla Fiera del libro di Torino? Perché si bruciano bandiere di Israele? Perché, assai spesso, parlare di Israele genera divisioni, conflitti?
Per dare una risposta non possono bastare considerazioni politiche, legate al diritto, non ancora realizzato, del popolo palestinese di avere una sua – assolutamente giusta – autonomia nazionale. In realtà, parlare di Israele, anche irrazionalmente, vuole dire attivare sentimenti, memorie, considerazioni, passioni che nessun altro stato nel mondo è in grado di toccare.
Ed è per questa ragione che la deligittimazione di Israele rappresenta senza dubbio un male pericolosissimo del nostro mondo, perché si propone, in fondo, di minare valori essenziali per l’intera collettività.
Israele è, infatti, l’emblema vivente, il laboratorio culturale di riferimento di una sfida costante per la laicità, l’interculturalità, il riconoscimento della centralità della persona e dei suoi diritti inviolabili. Il carattere democratico dello Stato ebraico è la garanzia di questi principi in un’area dove ogni forma di libertà è invece assente.
L’attacco ad Israele rappresenta dunque una modalità subdola e pericolosissima di disconoscere l’essenzialità nel mondo di oggi dei valori che invece Israele veicola quotidianamente, con coraggio e abnegazione. Valori che riguardano ognuno di noi, in Medio Oriente, come in Italia, in Europa e nel mondo.
Allo stesso modo, è in atto un’ulteriore battaglia, forse ancora più ambigua, che chi delegittima Israele conosce alla perfezione.
Israele costituisce infatti una componente essenziale della nostra storia di italiani ed europei.
La nascita dello Stato ebraico è avvenuta dopo la barbarie della Shoà e il legame non è mai stato reciso, non può esserlo. Israele è parte di noi, è il simbolo di quella cultura giudaica che, insieme a quella cristiana, è la base culturale dell’Europa.
Ecco perchè l’attacco a Israele che soprattutto una certa sinistra continua a riproporre ha uno scopo ben definito legato ad affermare una visione culturale nichilista, laicista, finalizzata ad escludere il senso religioso e il diritto di essere autenticamente se stessi dal modello sociale di convivenza.
Si tratta di una operazione culturale che deve essere combattuta, senza tentennamenti o ambiguità. Anche perchè il diritto all’esistenza di Israele, con tutto ciò che rappresenta in termini identitari, è realmente minacciato in questa epoca.
Di fronte ad uno scenario tanto grave, non si può tacere ma bisogna tutti insieme responsabilizzarsi. Difendere Israele, significa, sia rendere più forti anche noi nelle nostre case e nelle nostre vite individuali, sia riconoscere l’essenzialità di determinati valori identitari di libertà.



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