Il traffico dei diritti insaziabili, edito da Rubbettino e curato dal prof. Luca Antonini, è un volume che propone un approccio originale e provocatorio al tema dei nuovi diritti umani. Si tratta di un punto di vista che emerge da un dialogo serrato dove si confrontano, tra gli altri, giuristi come Augusto Barbera, Mary Ann Glendon (docente ad Harvard e oggi ambasciatrice degli USA in Vaticano), Paolo Carozza (docente alla Notre Dame University e Presidente della Commissione per i Diritti Umani Interamericani), Paolo Grossi; filosofi come Rocco Buttiglione e Francesco Gentile; politologi come Lorenzo Ornaghi.
Il dialogo riguarda il fenomeno moderno dei cosiddetti “diritti insaziabili”: oggi nella coppia, nella famiglia, nella malattia, sulla vita o sulla morte ogni gruppo rivendica il “suo diritto”. Si usa così sempre più frequentemente la qualifica di “diritto” per descrivere aspetti della vita che sono più semplicemente possibilità, desideri, opzioni, facoltà. E nel dibattito sembra quasi aleggiare l’illusione che la traduzione in leggi di questi desideri possa magicamente assicurarne il compimento. Intrappolati nel miraggio di questo inganno, i nuovi diritti rischiano solo di creare nuove infelicità.
Non è peraltro un gioco a somma zero: ogni nuovo diritto che viene riconosciuto crea un nuovo e correlativo dovere per qualcun altro o comunque un’incisione di altri valori. Si tratta spesso di nuovi diritti che prescindono dalla visione dignitaria che fu alla base della Dichiarazione Universale sui Diritti Umani del 1947: emblematica è la recente “riabilitazione” della pedofilia in Olanda, rubricata tra le tendenze possibili e giuridicamente tutelabili, al punto che la promozione della pedofilia è divenuta alla base del programma del partito politico Nvd (sigla che sta per «amore per il prossimo, libertà e diversità»).
Il volume porta alla luce anche un altro aspetto spesso trascurato: il diffondersi di questi nuovi diritti solitamente non avviene attraverso le tradizionali vie delle democrazia parlamentare, ma attraverso un ambiguo scambio di prassi interpretative a livello di corti e di commissioni internazionali. Si è sviluppato così un traffico condizionato dalla pressione di potenti lobby che sono riuscite a piegare ai loro fini particolari il progetto dei diritti umani universali. Molti di questi gruppi, come afferma Mary Ann Glendon “in particolare quelli i cui programmi sono politicamente impopolari nei rispettivi paesi, utilizzano i diritti dell’uomo internazionali come siti di produzione off-shore dove i loro programmi possono essere impacchettati come nuovi diritti e rispediti a casa con l’etichetta norme internazionali”.
E’ quindi nato un nuovo mercato dei diritti dove ricche e potenti lobby tentano di catturare, spesso in modo non trasparente, il prestigio del progetto dei diritti universali agendo su siti di produzione internazionali, utilizzati per condizionare dall’alto gli ordinamenti nazionali. Si è sviluppato, infatti, un ambiguo traffico di questi diritti insaziabili, che – come nota Paolo Carozza – agiscono “come parassiti” dei diritti umani originari, perché traggono “linfa dalla universalità dei diritti umani per giustificarsi”, ma in realtà non ne condividono i presupposti ontologici di dignità e universalità che ne hanno fondato il valore. In questo contesto ogni gruppo lotta per trasformare in diritto la propria aspettativa, senza preoccuparsi di minare, con questo, le condizioni di una effettiva libertà. Il sogno dei diritti dell’uomo universali, fondato sul concetto di dignità e realizzato grazie al sangue dei martiri per la libertà, rischia quindi di rimanere in balia di processi ambigui, che spesso sfuggono alle procedure tradizionali di formazione del consenso democratico.
Di fronte alla moltiplicazione dei diritti, anche i più controversi sul piano sociale, molti interventi nel volume propongono come antidoto sussidiarietà e ragionevolezza, riscoperte e fondate come principi idonei a ristabilire le virtù e la promessa, ancora attuale, dei diritti umani.
Infatti, da più punti di vista, nei saggi che compongono il volume, si evidenzia la necessità di recuperare “la necessaria dimensione oggettiva del soggetto” (Grossi), la riscoperta della “natura dell’uomo che reca in se uno spirito, porta in sé stessa ethos e dignità” (Gentile), l’esigenza, cioè, di riscoprire “ciò che è giusto e costitutivamente inerente alla natura umana, senza che lo si possa esorcizzare o svilire, come invece è accaduto nella lunga parte finale della modernità” (Ornaghi). In altre parole, l’esigenza di individuare “un parametro comune” da contrapporre all’esaltazione di “tutti i bisogni e tutti i desideri” (Barbera).
In questa riscoperta può essere individuato un antidoto efficace al rischio del parossismo su cui si sta sviluppando la selva – e il traffico – dei “diritti insaziabili”: “quanti delitti in nome della libertà”, constatava Madame de Roland.
A tale riguardo non sembra troppo produttiva la semplice rievocazione tout court della grande tematica del diritto naturale. Si richiede invece, pur in quella linea, una nuova elaborazione e nuove proposte per resistere alla deriva “disumana” a cui oggi sembra esposta l’esperienza del diritto puramente legale.
Una nozione strategica dal punto di vista culturale è quella di “esperienza elementare”, evidenziata da Mons. Luigi Giussani per valorizzare il “complesso di evidenze ed esigenze originali con cui l’uomo è proiettato dentro il confronto con tutto ciò che esiste”. Negli ultimi secoli, la categoria di “esperienza” è stata infatti intesa secondo un’accezione soggettivistica, da cui pareva impossibile uscire per darle un significato obiettivo. In Giussani, riprendendo in modo originale categorie del realismo cristiano, questa categoria diventa la nozione di esperienza elementare, cioè l’insieme di esigenze ed evidenze fondamentali che costituiscono il ‘cuore’ di ogni uomo, la sua faccia interiore, a qualunque epoca, luogo o etnia appartenga. Le evidenze ed esigenze di verità, di giustizia, di bellezza esperibili da ogni singolo offrono allora la chiave epistemologica per «giudicare».
Si apre, in questa prospettiva, la possibilità di recuperare tutta la soggettività, propria dell’anelito della modernità, senza però decadere nel soggettivismo, perché si individua un criterio fondamentale di giudizio, che è se è tutto interno al soggetto e al suo dramma esistenziale, è altresì oggettivo, sostanzialmente uguale in ogni uomo. La riscoperta della dimensione oggettiva della soggettività umana, recuperata favorendo il metodo di interrogare l’esperienza elementare piuttosto che quello di attingere alle ideologie o ai luoghi comuni, potrebbe permette quindi di approfondire in termini di valore, sul piano giuridico, la nozione di ragionevolezza. Si identifica così un background culturale che può consentire di ritenere fondamentali solo i diritti umani ragionevoli, non altrettanto e allo stesso modo invece alcuni di quelli che oggi si inseriscono nel novero dei nuovi “diritti insaziabili”.
Il libro si inserisce nella collana della Fondazione Novae Terrae ed è realizzato con il contributo di Fondazione per la Sussidiarietà e Fondazione Cassamarca.