L’uomo cerca una risposta al desiderio di verità, giustizia, bellezza che abita il suo cuore e capisce che non può trovare risposta dentro di sé a questa domanda più grande di lui. Tale insopprimibile desiderio di felicità non è riducibile al soddisfacimento di bisogni contingenti, e l’inquietudine per la mancanza di un compimento non è mai acquietata da nessuna ideologia che vorrebbe che ciò che si fa e si pensa bastasse. Da qui la domanda di un significato, da cercarsi nella vita e nel reale, come l’apice dell’esperienza della ragione. La ragione esprime la natura dell’uomo, in continuo rapporto con la realtà circostante, secondo quanto dettato dalle sue esigenze profonde e irriducibili.
Neanche la realtà naturale può bastare: anche in essa si incontrano continuamente punti di fuga che rimandano a una sua origine misteriosa che la trascende. Quando l’uomo perde questa consapevolezza, quando concepisce la sua ragione come autosufficiente e se stesso come una monade in una società ridotta a contenitore di individui singoli e indifferenti, l’utopia prende il posto del realismo, Prometeo si sostituisce al Mistero. Negli Stati Uniti si può vedere una società in cui l’esistenza di Dio è fortemente tenuta presente, anche se è spesso considerata estranea a ogni questione che riguardi l’umano e il suo rapporto con la realtà, e quindi ridotta a fonte di superstizione o spiritualismo. Oppure, in Europa, dove ci si avvia a una sempre maggiore secolarizzazione, la rottura tra ricerca di significato e ragione porta all’oblio dei propri elementi costitutivi.
Esiste oggi, a fronte di queste generali tendenze, la possibilità di non rinunciare all’insopprimibile ricerca della verità che costituisce la radice più profonda della ragione umana e rende la persona non riducibile a un suo particolare, per quanto importante? Gli interventi della prima sezione di questo numero di «Atlantide» cercano di documentare alcuni tentativi di risposta a questa domanda.
Le enormi conseguenze di questa impostazione antropologica sulla concezione della società si capiscono nella seconda sezione. In un’epoca di incontro-scontro tra culture, molti modelli di convivenza che s’illudevano di poter eliminare astrattamente le differenze ed evitare ogni confronto sulla verità entrano in crisi. La pretesa di affrontare in modo parcellizzato gli aspetti economici, giuridici o sociali della convivenza non ha tenuto. Modelli che riducono la concezione e la prassi della razionalità a suoi aspetti particolari non tengono più: si pensi ad esempio al dibattito in campo finanziario, ben documentato in alcuni interventi ospitati in questo numero.
L’uomo è disponibile a non lasciare che i modelli di rappresentazione della realtà prendano il sopravvento sulla tensione a conoscere il reale per ciò che è?
Anche la scienza non si sottrae a questa sfida sull’uso della ragione che la pone nell’alternativa tra relativismo nichilista – umiliante per la ragione – e un prorompente desiderio di verità. Nella sua ricerca, la scienza segue un proprio metodo focalizzato sulla verifica delle ipotesi (cioè l’accertamento della verità), principalmente attraverso esperimenti che richiedono inevitabilmente delle precondizioni, cioè limitazioni alla realtà così come essa è realmente. È un modo di procedere necessario, altrimenti l’estrema complessità della realtà rimarrebbe inconoscibile. L’errore si origina quando si pensa che i modelli possano spiegare la totalità della realtà. Presi dall’orgoglio per gli indubitabili successi della scienza, si arriva a identificare la ragione esclusivamente con la razionalità scientifica e a concludere che una cosa è vera solo se scientificamente dimostrabile. Eppure, diceva Einstein: «La cosa più incomprensibile dell’universo è il fatto che l’universo sia comprensibile».
Nel mondo scientifico contemporaneo e in linea con la definizione di Einstein, c’è qualcuno che mostra come la natura nel suo complesso ha una struttura sorprendentemente unitaria, un ordine affascinante che faccia riscoprire alla ragione la sua originaria domanda sul significato della realtà?
È questo un aspetto dell’esperienza umana che spesso appare molto significativo nella vita di quelle persone che il consesso umano vede come “protagoniste” non perché siano famose, ma perché hanno vissuto a fondo la realtà in cui si sono trovate o che si sono scelte, hanno recuperato continuamente ciò che caratterizza al fondo il loro “io”.
Non è possibile essere protagonisti se non si ha una precisa coscienza di chi si è: solo a questa condizione si è liberi di affrontare la realtà per scoprirne il senso e perseguire così il proprio scopo. È un’esperienza possibile in ogni attività. I poeti, i musicisti, gli artisti ospitati in questo numero mostrano come sia possibile allargare la ragione al di là delle strettoie che una certa razionalità scientifica o tecnica vorrebbero imporre, e fanno percepire aspetti della realtà che aprono su spazi vertiginosi a partire da uno stupore per una realtà che trascende l’uomo e fa intravedere squarci sul Mistero.
Si è protagonisti, perché ragionevoli, perché non si vuole rinunciare all’unità della propria persona, irriducibile nell’esigenza di cercare e scoprire la Verità: questa la provocazione del Papa.



(Tratto da Il Sole 24 Ore del 19/08/2008)
(Foto: Michelangelo, Aurora)

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