Quando gli organizzatori hanno pensato alla mostra su di lui, non avrebbero mai immaginato che Aleksandr Solženicyn sarebbe tornato tristemente di attualità. Il grande scrittore russo è infatti morto proprio mentre a Rimini si stavano allestendo gli stand e a Mosca fervevano i preparativi per celebrare i suoi 90 anni.



Quando si è saputo che il tema del Meeting 2008 sarebbe stato “Protagonisti o nessuno” a Russia Cristiana è venuto subito in mente che proprio Solženicyn avrebbe potuto emblematicamente rappresentare l’alternativa del titolo. Egli infatti è stato l’autore russo che più di ogni altro ha mostrato che proprio laddove un gigantesco sistema repressivo si organizza per annullare la persona, per renderla “nessuno” essa può resistere e trasformarsi in “protagonista”.



«L’assoluta novità di Solženicyn nella cultura europea del Ventesimo secolo – dice il professor Adriano Dell’Asta, tra i curatori della mostra – non consiste tanto nel fatto che lui abbia svelato in Occidente l’esistenza dei campi di lavoro e di sterminio in URSS. Tutti quelli che volevano potevano saperlo anche prima; dal 1917 al 1939 ho in mente più di una cinquantina di testi che parlano del GULag, l’acronimo che definisce il sistema concentrazionario sovietico e che Solženicyn ha immortalato nel suo Arcipelago GULag. Perché, allora Solženicyn è stato così dirompente? Perché ha mostrato che in quel disumano sistema l’uomo poteva resistere ed essere se stesso, poteva contrattaccare la menzogna del potere con la sua vita nella verità»



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Per comprendere come questo sia stato possibile dobbiamo fare un passo indietro e ricostruire per sommi capi la vicenda umana di Solženicyn. Nasce nel 1918 da un ufficiale zarista. Agli occhi dei nuovi dominatori comunisti della Russia questo dato biografico era già un’onta; il giovane Aleksandr sa che qualcosa del suo passato deve rimanere nascosto come una colpa. Così come deve essere in qualche modo cancellata la fede ortodossa nella quale la nonna aveva cercato di educarlo. Scuola sovietica e propaganda di regime fanno comunque di Solženicyn un marxista ateo.

Poi viene la guerra, con l’immenso strascico di sofferenze e dolori, prima fonte di ripensamento. A soli tre mesi dalla conclusione del conflitto, la polizia segreta lo arresta: nella lettera ad un amico aveva osato esprimere delle critiche a Stalin. Lo condannano a 8 anni di prigione e al confino perpetuo. È il momento della scoperta della menzogna del sistema e, soprattutto, della irriducibilità della persona: «Un uomo a cui avete tolto tutto non è più in vostro potere, è di nuovo libero».

La libertà, anche fisica, per Solženicyn arriva con la destalinizzazione. Ma intanto un altro baratro si era aperto sotto i suoi piedi: il cancro, diagnosticato quando ancora era in prigione. È l’ultima sfida. Solženicyn riscopre la fede cristiana; in essa egli trova la vittoria definitiva contro il nulla: «Come è facile vivere con Te, Signore», scrive.

In modo del tutto inatteso Solženicyn guarisce e subito interpreta questo fatto come un dono di Dio. Dal quale deriva un compito: quello di documentare ciò che aveva visto nei campi. «E quello che aveva visto – prosegue il professor Dell’Asta – era certo la violenza degli aguzzini e il degrado dell’umano, da lui ampiamente documentato, ma anche la luce di quegli uomini, soprattutto di fede, che non cedevano. Certo quella luce, come dice Solženicyn stesso, è come quella di una candela in un enorme salone buio: ti ci devi avvicinare per vederla».

Proprio questa è la novità e la scandalosità dell’autore di Arcipelago GULag, come si è visto bene in occasione della sua morte. Gran parte dei giornali lo ha dipinto come un vecchio arnese del secolo scorso approdato a posizioni filo putiniane. Invece il suo messaggio è straordinariamente attuale non solo per la Russia, ma all’Occidente. Quell’Occidente cui lui aveva diretto il celebre discorso di Harvard, che molti non hanno digerito, perché Solženicyn ha mostrato chiaramente come anche noi, con tutta la nostra libertà, siamo di fronte alla possibilità nichilista. L’Occidente, infatti, non ha mai veramente amato lo scrittore che pure ha ospitato dal 1974, anno della sua espulsione dall’URSS, e cui ha assegnato il Nobel per la letteratura.

Del resto anche la sua patria, quando vi è rientrato dopo la caduta del muro lo aveva sostanzialmente accantonato. Ora che è morto il presidente Medvedev ha cambiato nome di una importante via di Mosca: da “Grande comunista” a “Aleksandr Solženicyn”. Fortunatamente ci sono persone che si interessano al recupero amoroso della memoria dei giusti, come la Matriona di un celebre racconto di Solženicyn, come lo scrittore stesso. Ad esempio Ludmila Saraskina, che oggi presenta al Meeting la sua monumentale monografia, verificata con Solženicyn  stesso, dell’autore di Una giornata di Ivan Denisovic.

(Pigi Colognesi)