Professore Weiler, come giudica l’empasse in cui si trova l’Unione Europea ed il faticoso processo di ratifica del trattato di Lisbona? 

Il trattato di Lisbona ripropone la Costituzione europea rifiutata da Francia e Olanda. Esso presenta i difetti che erano già della proposta (e mai approvata) Costituzione europea. L’Europa non ha bisogno di una nuova Costituzione. Da anni l’Europa ha un’architettura costituzionale originale e funzionante, che poggia sulla base su un grande principio, quello di “tolleranza costituzionale”. L’ordinamento europeo non fu imposto: gli ordinamenti giuridici di stampo costituzionale, infatti, hanno scelto l’Europa: era la loro volontà che fondava l’Europa, l’hanno voluta. Al contrario, la Costituzione proposta e poi rifiutata dagli Stati membri stravolgeva questo principio: essa sarebbe risultata uno scivolamento verso una banalità costituzionale simile a tanti altri paesi federali. Quello di cui l’Europa aveva veramente bisogno, e di cui ha bisogno ancora ora, è di una riorganizzazione dell’architettura istituzionale. La nuova struttura proposta aveva pochi pregi. Si chiamava costituzione, ma in verità era un trattato. Poi contava più di 150.000 parole, quando le costituzioni sono delle leggi concise. Quella non era una costituzione, e non lo sembrava neppure, e infatti non venne approvata, e non c’è da stupirsi che i popoli la rifiutarono. Non solo fu respinta dai francesi e dagli olandesi: ad esempio, la Spagna approvò il trattato con un referendum dall’affluenza bassissima, praticamente un rifiuto. In altri paesi essa fu approvata dai parlamenti con maggioranze da Ceausescu, amplissime, 99%, non perché ci fosse un consenso ma perché non era possibile compiere un vero dibattito politico.



Oggi sono stati gli irlandesi a votare a un referendum contro il trattato di Lisbona. Però, invece di accettare questo rifiuto assolutamente legittimo, gli altri stati hanno cominciato i ricatti contro gli irlandesi. È curioso che uno dei principali orchestratori di tali pressioni sia Sarkozy, presidente di turno della UE, sia il presidente dello stesso paese che bocciò poco tempo fa la Costituzione europea. Però allora, quando la Francia rifiutava, bisognava rispettare la volontà espressa dal popolo e rifare il progetto. Oggi, invece, siccome la volontà è espressa dall’Irlanda, si fa finta di niente. Non è credibile una posizione del genere. 



Quindi non c’è un futuro per il trattato di Lisbona? 

A mio avviso bisogna lasciare perdere il trattato di Lisbona e ricominciare in modo serio, riconsiderando anche i contenuti: ad esempio, l’Europa ha bisogno di due presidenti? Il doppio presidente, quello del Consiglio e della Commissione, fu voluto da Giscard solo per togliere potere alla Commissione. Oggi tale scelta non è più attuale. Altro esempio: la scelta compiuta rispetto alla Carta dei diritti fondamentali è al limite dell’offensivo. Da una parte si afferma che essa non sia inclusa. Dall’altra si redige una clausola che rinvii ad essa. Processi legislativi così importanti non possono esser fatti in questo modo, occorre esser più seri. Credo che sia meglio per l’Europa rispettare la decisione di uno stato membro che ha esercitato un suo diritto, soprattutto alla luce del fatto che si sarebbe arrivati allo stesso risultato in altri paesi se solo i popoli avessero avuto la possibilità di parlare direttamente, come nel Regno Unito. Per me Lisbona è meglio riconsegnarla alla storia e ricominciare con serietà la riflessione sul futuro dell’Unione Europea. 



Uno dei vicini dell’Europa sta mostrando i muscoli. Cosa sta dietro la crisi russa? 

Il problema centrale non è tanto la Russia, ma è che l’America è enormemente indebolita rispetto al recente passato. Stiamo uscendo dagli otto anni di presidenza americana peggiori della storia moderna degli Stati Uniti. Molti europei si compiacciono nel vedere l’America in una brutta situazione dal punto di vista militare, economico e morale, ed è penoso: il mondo occidentale ha bisogno degli Stati Uniti forti. L’esempio di libertà e dignità umana che possono dare gli Stati Uniti sono importanti per tutta la civiltà occidentale. Purtroppo l’esistenza della nostra civiltà occidentale non è garantita, anzi, è minacciata. Storicamente, gli USA nel XX secolo hanno salvato l’Europa in tre occasioni: la Prima Guerra Mondiale, la Seconda, e poi durante la guerra fredda. Durante la guerra fredda in tantissimi ripetevano che il pericolo sovietico era in verità un inganno, che l’Unione Sovietica aveva intenzioni onorevoli, non bisognava preoccuparsi. Ora, però, che si stanno studiando gli archivi ci si sta accorgendo che, senza la protezione americana, la storia di Ungheria e Cecoslovacchia sarebbe stata la storia anche di altri paesi europei. Se pensiamo all’integrazione europea, l’Europa ha sempre scelto la diplomazia e non l’uso della forza perché sapeva che tanto ci sarebbero stati gli americani, infantili e ingenui, pronti a spendere i soldi e il sangue dei loro figli per il bene dell’Europa. Con l’America indebolita, non sarà meglio per il mondo che l’Europa si prenda carico della sua propria sicurezza? Non sarà meglio per il mondo evitare il ritorno a un mondo bipolare diviso tra USA e Russia o tra USA e Cina, ma in uno in cui l’Europa parli con credibilità? Secondo me sì, ma sinora non vedo nessun buon segno.

Cosa sono i diritti umani oggi? 

Nella cultura dei diritti umani e fondamentali c’è un esempio splendido della nuova etica pubblica della nostra civilizzazione: se tu chiedi alla gente qual è il contenuto morale della nostra identità, loro ti diranno: “i diritti umani, la dignità umana”. Se chiediamo a qualcuno se è una persona virtuosa, lui risponderà senz’altro, e in buona fede, di credere nei diritti umani. È molto facile dire “credo ai diritti umani”. Se ci sono violazioni dei diritti umani tutti sono scandalizzati, ma l’autore della violazione è sempre un governo, un’entità pubblica, sempre. All’individuo non si richiede nulla. È un’etica che responsabilizza sempre un altro, un’agenzia pubblica, mai le persone. Nel preparare il mio discorso per il Meeting ho riletto tutti i 5 libri di Mosè: in essi si parla moltissimo di legge. Tuttavia nel Vecchio Testamento non troverete mai il concetto di diritto. La vita è sacra non perché tu hai il diritto alla vita, ma perché hai il dovere e la responsabilità di rispettare la vita di un altro. Il povero e lo sfortunato vengono assistiti non perché hanno un diritto all’assistenza sociale, ma perché noi tutti abbiamo un dovere, una responsabilità, di non abbandonare la nostra società e di prenderci cura di quelle persone. Quei libri sono un vocabolario di responsabilità e di doveri: responsabilità dell’individuo e responsabilità della società. L’individuo è sempre responsabile. Invece, la cultura dei diritti, anche dei diritti umani, è una cultura che responsabilizza sempre un altro, e mai noi stessi. Qual è il nostro dovere, in questa cultura? Solo quello di pagare le tasse. Una volta che noi abbiamo pagato le tasse è finita, e hai diritto a scandalizzarti. Non sono contrario ai diritti umani; sono, però, contrario a una cultura politica in cui i diritti umani spostino tutto il resto nel vocabolario dei diritti, e mai in quello dei doveri. La giustizia non esiste senza la responsabilità.

Cosa significa secondo lei essere protagonista? 

Ho scritto tanti libri. Qualcuno dice anche che sono belli. Però sono anche conscio che nel museo del diritto, quando morirò, i miei libri saranno riposti su uno scaffale di qualche aula sperduta. Mi sento soprattutto insegnante, educatore. Quello che rimane dopo di me sono i miei studenti. Sono invitato spesso a conferenze e congressi, ai quali dico quasi sempre no. Difficilmente, però, ho detto no quando mi hanno chiesto di insegnare. La maggior parte degli studenti ha paura di me perché sono severo: chiedo tanto da loro e se non preparano le lezioni mi arrabbio. Non mi piace che si arrivi tardi alle mie lezioni: l’insegnamento è una cosa seria e un segno di rispetto dello studente è quando è ben presente nei confronti del docente, arrivando preparato, in orario, perché chi non prende seriamente l’insegnamento non prende seriamente la vita dello studioso. Questo è il mio modo di insegnare, un po’ ruvido, ne sono sicuro, però nessuno dirà che non insegno con coscienza, con serietà. Prendo lo studente come soggetto piuttosto che come oggetto. Mi preparo più dei miei studenti prima delle lezioni. Questo è il mio metodo. Insisto che i miei studenti siano protagonisti, non oggetti passivi della mia lezione, che si impegnino, che rispondano. Quando qualcuno fa il dottorato con me gli chiedo di considerare quanto dico loro, ma se la loro tesi non mostra i limiti del mio pensiero, significa che non è una buona tesi, perché vuol dire che stanno solo ripetendo quello che dico io, che non va avanti. Questo significa essere protagonisti.