Ogni riflessione su mutazioni sociali imponenti, soprattutto se caratterizzate da rapidità e da globalità, non dovrebbe mai dimenticare la buona regola, richiamata efficacemente a suo tempo dal Nobel Alexis Carrel, che molta osservazione e poco ragionamento sono condizioni necessarie per giungere al vero.
Così per il multiculturalismo è cruciale anzitutto cogliere i dati per poi offrirne adeguata spiegazione e poterne orientare il turbolento processo in atto. Questa considerazione di metodo può apparire piuttosto ovvia, eppure in non poche discussioni sul tema se ne sente macroscopicamente la mancanza.
La presenza massiccia di immigrati in Europa, la loro diversità etnica, culturale e religiosa, il loro inserimento nella vita quotidiana delle nostre società, la loro almeno incipiente partecipazione alla vita democratica delle nostre nazioni… Prima di ogni considerazione è necessario riconoscere che ci troviamo di fronte a un processo storico ancora del tutto aperto. Il farsi della storia, infatti, è legato a un intreccio di libertà, quella di Dio, quella degli uomini e quella del maligno. Per questo possiede un carattere «indeducibile», la cui determinatezza non può essere dominata.
Va assecondato perché si possa coglierne l’identikit. Ciò non significa che gli accadimenti, le situazioni, le cause e i processi storici a cui questi fattori danno vita siano frutto di un disegno fatale, né di un caso cieco.
Da quando il Figlio di Dio si è fatto carne ed è morto e risorto per la nostra salvezza, l’imponenza del fattore libertà con il suo triplice soggetto è emersa alla coscienza degli uomini in modo tale da non poter essere più cancellata. Anche per andare all’origine della diversità occorre conoscere, interpretare, orientare: obiettivi ardui che possono essere perseguiti solo da un soggetto personale e comunitario disposto a vivere da protagonista nella società rischiando pertanto la propria libertà.
I diversi contributi sul tema del multiculturalismo pubblicati nel presente volume, organizzati in tre sezioni (scienze giuridiche e sociali, scienze filosofiche e scienze teologiche), vogliono rispondere agli obiettivi indicati offrendo qualche chiave di riflessione che possa accompagnare la coscienza dei popoli del ricco Occidente ad affrontare il processo di meticciato di civiltà. Il lettore troverà numerosi e validi suggerimenti sia per cogliere le questioni radicali poste dall’incontro tra le culture – si pensi semplicemente alla domanda sul carattere positivo della differenza – sia per superare proposte incapaci di offrire soluzioni o almeno di aprire strade percorribili, in particolare gli autori concordano sulle necessità di “superare” il multiculturalismo. A me preme sottolineare l’importanza dell’insistenza sulla categoria di testimonianza, affermata secondo tutta la sua pregnanza teoretica (Prades). La Verità, che è tale perché vivente e personale, chiama sempre in causa la libertà dell’uomo, lo vuole suo testimone.
Il testimone, infatti, si concepisce solo in funzione della verità a cui rende testimonianza. Nel dare testimonianza scopre il suo vero volto. Un atteggiamento che è garanzia di radicale apertura e disponibilità a riconoscere alla verità vivente il diritto di manifestarsi dovunque e comunque. Per questo la testimonianza non si dà mai una volta per tutte. L’uomo è chiamato ad essere testimone della verità qui ed ora, in questa precisa circostanza storica, che non è quella di ieri né quella di domani. In quest’ottica si comprende allora come la verità per la sua natura universale si dia sempre «nella forma dell’universale concreto, cioè del valore universale di una realizzazione determinata e particolare» (Botturi).
Per conoscere e riconoscere la verità, quindi, non c’è altra strada che il libero e riflettuto incontro tra testimoni, personali e comunitari. Questa è l’unica strada perché il processo di meticciato di civiltà in atto sul pianeta venga orientato a una vita buona. Il nostro tempo è assetato di uomini e donne capaci di documentare, con convincenti ragioni, in tutti gli ambienti dell’umana esistenza che la mescolanza di popoli in atto non è una condanna fatale, ma il disegno amoroso del Padre. Assai più convincente del fatalistico «sic placitum» di Virgilio (Eneide I, 283) è il «beneplacitum Patris» di Ireneo (Adversus haereses IV, 26, 2). Di questo i cristiani, per pura misericordia, possono essere testimoni.