Il 10 settembre al Cern di Ginevra il primo fascio di protoni è stato immesso nel tunnel di LHC e inizierà ad accelerare fino a raggiungere velocità di poco inferiori a quella della luce preparandosi quindi per gli attesi esperimenti. È l’inizio della entusiasmante avventura della fisica del XXI secolo, che potrebbe far fare un potente balzo in avanti alla nostra comprensione della natura e della sua storia. Ma non è l’inizio dell’esperienza di ricerca, di progettazione e di immaginazione per tanti fisici, ingegneri e tecnici di ogni disciplina che da anni stanno lavorando affinché la “macchina delle meraviglie”, cioè il Grande Collisore Adronico (Large Hadron Collider, LHC), possa funzionare a dovere. Ma il termine “macchina” non rende assolutamente l’idea del gigantesco sistema tecnico-scientifico che è stato installato nei sotterranei del Cern. Per conoscerlo un po’ meglio e capire come si è arrivati allo start up dei prossimi giorni, abbiamo incontrato Lucio Rossi, fisico italiano (tra gli oltre mille che partecipano all’impresa) in forza al Cern dove dal 2001 è a capo del gruppo Magneti Superconduttori.



Quando parliamo di LHC, a che tipo di struttura dobbiamo pensare?

Le normali rappresentazioni che possiamo farci di un laboratorio o di un esperimento scientifico non sono adeguate per descrivere LHC. Basti pensare che tutto si svolge in una galleria circolare lunga 27 chilometri e larga 4 metri, tra i 50 e i 175 metri di profondità in un’area al confine svizzero-francese. Lì sono distribuiti i diversi componenti del sistema, cioè: l’infrastruttura tecnica che permette l’accelerazione delle particelle, quindi l’insieme dei 1700 magneti superconduttori e tutti gli impianti necessari per mantenerli a temperatura di 1,9 gradi sopra lo zero assoluto; gli equipaggiamenti e la strumentazione per i quattro esperimenti, che sono dislocati lungo la circonferenza; il sistema informatico per la gestione delle apparecchiature e per l’elaborazione dei dati.



Quindi un oggetto non facile da mettere a punto?

Sì. Infatti, dopo le fasi della progettazione e accanto alla costruzione della struttura generale, il grosso lavoro che ci ha tenuti col fiato sospeso in questi ultimi anni è stato quello dei test. La posta scientifica in gioco e gli ingenti investimenti messi in campo (dell’ordine dei 5 miliardi di euro, tra materiali, personale ed esperimenti) impongono la massima precisione e affidabilità di ogni singolo componente e del sistema nel suo insieme. Dapprima quindi si sono collaudati i vari apparati uno ad uno: ad esempio tutti i magneti sono stati sottoposti a prove singole e hanno dimostrato di funzionare perfettamente; abbiamo avuto un tasso di rigetto inferiore al 2%. Tuttavia il funzionamento collettivo introduce una serie di effetti e di problemi nuovi; perciò siamo passati a test più complessi: l’intero percorso è stato suddiviso in otto parti e si è proceduto al collaudo di un ottante alla volta. Contemporaneamente sono state provate le apparecchiature coinvolte negli esperimenti e poi i sottosistemi fino all’intero impianto relativo a ogni esperimento.



Cosa accadrà allora il prossimo 10 settembre?

Verranno iniettati i fasci di protoni e si inizierà a farli circolare. Allora si potrà dire che la macchina è operativa. Dapprima circoleranno pochi protoni poi si avranno fasci più consistenti, formati da pacchetti di 100 miliardi di particelle. I fasci verranno accelerati fino a velocità oltre il 99,9% di quella della luce e in tale condizione un fascio di particelle circolerà per 10 ore, percorrendo 10 miliardi di chilometri, equivalenti ad un viaggio di andata e ritorno dalla Terra al pianeta Nettuno.

Ma le attività di test, o come voi le chiamate, di commissioning, non sono finite.

Effettuato il commissioning dell’hardware, si dovrà fare quello dei fasci. A questo punto entreranno in gioco più direttamente i fisici; ci sono infatti molte problematiche connesse alla fisica dei fasci: la loro velocità, la focalizzazione, la possibilità che si allarghino troppo e altre ancor più delicate.

E finalmente si arriverà all’evento tanto atteso, cioè le collisioni …

I fasci di protoni accelerati si incroceranno circa 30milioni di volte al secondo per cui Lhc produrrà fino a 600milioni di collisioni al secondo. Ma bisogna precisare cosa si intende per collisioni. Un fascio di particelle infatti non è come ce lo possiamo immaginare, come un getto d’acqua o un fascio luminoso: le dimensioni dei protoni sono talmente piccole che il fascio è quasi vuoto. Allora per provocare lo scontro bisogna aumentarne la densità; e lo si fa comprimendolo, “strizzandolo”, tramite l’effetto di altri magneti speciali in modo che, giunti al centro di ognuno delle stazioni sperimentali, i fasci possano collidere e fornire le informazioni richieste.

Quando si avranno i primi risultati scientifici?

Anche qui le cose non vanno come si può superficialmente immaginare. Non dobbiamo pensare una collisione che genera magicamente la scoperta del secolo: si devono accumulare una serie di eventi sui quali poi si sviluppano indagini statistiche. Da queste possono uscire i risultati, anche i più sorprendenti. C’è molta aspettativa per il cosiddetto bosone di Higgs, la particella che spiegherebbe la natura della massa; ma si punta anche a capire meglio le supersimmetrie, o a rivelare altre dimensioni dello spazio-tempo, per ora solo previste dalle teorie.    

Comunque bisognerà attendere i primi mesi del 2009 per avere i primi annunci significativi.

E le tappe successive?

Prevediamo che ci vorranno 4-5 anni per raggiungere le energie e la luminosità (cioè il numero di eventi per secondo) massime previste per una “macchina” del genere. D’altra parte, per la natura stessa di questi esperimenti, se si vogliono avere collisioni statisticamente rilevanti bisogna aumentare moltissimo la luminosità; perciò bisognerà fare un upgrade di LHC. C’è già un piano, detto super LHC, per cambiare, verso il 2013-2014, alcune parti dell’acceleratore sostituendo alcuni magneti. Un ulteriore aggiornamento è ipotizzato per il 2018, quando nuove materiali superconduttori (in particolare il composto Niobio 3 Stagno) potrebbero consentire di applicare magneti più potenti per aumentare l’effetto di focalizzazione dei fasci e dare ai fisici l’opportunità di migliorare le collisioni.

Se tutto ciò funzionerà, saremo pronti anche per aumentare l’energia, raddoppiandola e arrivando all’estremo limite di 30 Teraelettronvolt (TeV, così si misurano le energie in questi esperimenti) nel centro di massa; ma se ciò sarà possibile lo potremo dire solo verso il 2015.  

Qualcuno parla già del dopo LHC…

Sì, ci sono diversi gruppi di fisici che lavorano al progetto ILC, International Linear Collider, un acceleratore lineare lungo 30 chilometri nel quale far scontrare non più particelle pesanti ma i più leggeri elettroni e antielettroni. Si avrebbero allora collisioni molto più “pulite”, dove basterebbero energie ben inferiori ai 7 TeV di LHC: potrebbe essere sufficiente mezzo TeV, o al più un TeV. In realtà ILC non è ancora un vero progetto: ci sono sì alcune linee generali ma c’è ancora da decidere un elemento non da poco come la localizzazione. E poi la sua validità non è indipendente da quello che LHC potrà scoprire: si potrebbe anche constatare che al di sotto del TeV non si possono avere risultati utili; in tal caso l’idea di un acceleratore lineare di quel tipo sarebbe totalmente vanificata; si dovrebbe allora prender in considerazione un altro tipo di collisore lineare, chiamati CLIC, che però è ancora in una fase di dimostrazione di principio e quindi non potrebbe essere costruito prima del 2020-2025.