La visita di Benedetto XVI in Francia ha riproposto all’attenzione dell’opinione pubblica un tema, quello dei rapporti tra Chiesa e Stato, e più in generale tra religioni e Stato, oggetto da qualche anno di molte e accese discussioni. Credo innanzitutto che vada sottolineato il luogo dove il tema è stato trattato. In Francia è in vigore una legge di separazione che, dalla sua approvazione nel 1905, è stata considerata un modello per gli altri paesi europei e nella sua Costituzione, all’articolo 1, si qualifica lo Stato come laico (una qualificazione che, oltre che nella Costituzione francese, è presente solo in quella turca). Si tratta di due questioni diverse, sulla prima delle quali, la separazione, si è forse oggi arrivati ad un primo punto fermo, mentre, sul secondo, la laicità, almeno a mio avviso, siamo ancora all’inizio di una riflessione che permetta di delinearne una modalità di attuazione coerente con il carattere multiculturale e multireligioso della democrazia contemporanea.
Benedetto XVI ha chiaramente affermato che «la chiesa francese gode attualmente di un regime di libertà e che la diffidenza del passato si è trasformata poco a poco in un dialogo sereno e positivo che si consolida sempre più», ribadendo con forza l’accettazione da parte della chiesa del modello separatista francese.
La presenza del principio della separazione degli ordini della Chiesa e dello Stato, del resto già presente anche nella Costituzione italiana, si è affermata sempre più chiaramente, come mostrano molte delle costituzioni dei nuovi Stati democratici europei che proclamano di essere separatisti. E il modello separatista, che aveva avuto nella storia concretizzazioni diverse, al punto che si parlava di separatismo francese, di separatismo statunitense e persino di separatismo sovietico, continua ad assumere nel suo adeguarsi a situazioni storico-politiche differenti, forme sempre nuove.
Più complessa si presenta invece la questione della laicità. Il termine laicità definisce un principio che sta alla base dei comportamenti dello Stato a tutela della libertà religiosa dei cittadini, come la non ingerenza nelle questioni religiose, la neutralità di fronte alle varie posizioni presenti nella società. In definitiva lo Stato non deve assumere atteggiamenti che, in una società nella quale sono presenti una pluralità di convinzioni filosofiche e religiose, possano violare il diritto di libertà religiosa dei cittadini stessi o il principio di uguaglianza tra cittadini di religione diversa.
Credo che nei discorsi di Benedetto XVI e del presidente Sarkozy si ponga l’attenzione sulla necessità di rivedere non la nozione, ma il concreto dispiegarsi delle fattispecie nelle quali essa si articola, liberando la laicità dal suo legame con la cultura del liberalismo europeo del secolo XIX. Nel suo discorso di saluto il presidente francese ha fatto appello ad «una laicità positiva. Una laicità che rispetti, una laicità che riunisca, una laicità che dialoghi. E non una laicità che escluda e che denunci», mentre il papa ha sottolineato come sia fondamentale «insistere sulla distinzione tra l’ambito politico e quello religioso… e… prendere una più chiara coscienza della funzione insostituibile della religione per la formazione delle coscienze e del contributo che essa può apportare, insieme ad altre istanze, alla creazione di un consenso etico di fondo nella società».
Non si tratta di rivendicare il riconoscimento della primogenitura di una qualsiasi convinzione filosofica o religiosa, come se da essa e in essa unicamente potessero trovare un fondamento le risposte alle problematiche che, sempre il presidente Sarkozy, definisce come tipiche di un’epoca «in cui il dubbio e il ripiegamento su se stessi pongono le nostre democrazie davanti alla sfida di rispondere ai problemi del nostro tempo, la laicità positiva offre alle nostre coscienze la possibilità di scambiare opinioni, al di là delle credenze e dei riti, sul senso che noi vogliamo dare alla nostra esistenza, la ricerca di senso».
Il problema della laicità non può presentarsi oggi come il tentativo di rimanere fedeli a parametri ottocenteschi che porterebbero a ipostatizzare il rapporto tra stato e religioni, sulla base di modelli non più proponibili, perché sembrano avere origine non dal rispetto della libertà religiosa, ma piuttosto dal presupposto tipico di quel periodo che la religione sia un fatto privato, tanto da far dire ad un grande giurista tedesco che il separatismo, da lui considerato l’ideale espressione dello stato liberale laico, era quel modello dove l’appartenenza o la non appartenenza ad una religione non interferiva mai, dalla nascita sino alla morte, nei rapporti di un cittadino con lo stato.
Come ha notato con molta sincerità lo stesso Sarkozy, oggi siamo in presenza di una situazione drammaticamente diversa, «poiché fino a trent’anni fa nessuno dei nostri predecessori avrebbe potuto immaginare e neppure sospettare le questioni che noi oggi dobbiamo affrontare. E, mi creda, Santità, che per un leader politico è una pesante responsabilità dissodare questo nuovo campo della conoscenza, della democrazia e del dibattito».
Se la laicità ottocentesca era collegata prevalentemente con questioni che, perlopiù, concernevano direttamente la libertà di culto, oggi la complessità e l’indeterminatezza del religioso hanno allargato enormemente la sfera delle interferenze del religioso stesso (o delle convinzioni filosofiche cui un individuo può aderire) con la società. Accanto a questo, a richiedere questo ripensamento sta anche il ruolo pubblico sempre più forte assunto dalle religioni e, forse in senso negativo, la finalità identitaria che sembrano assumere le convinzioni personali nelle scelte della vita di ogni giorno (Benedetto XVI ha parlato, a proposito dei giovani, dei limiti di un comunitarismo religioso condizionante).
La laicità positiva, o più semplicemente la laicità, comporta che lo Stato si debba misurare con il contesto sociale odierno, assumendo il dialogo con le religioni e con la loro alterità, come risorsa piuttosto che come anomalia da correggere o addirittura da cancellare.