Il titolo di un celebre saggio di Thomas Merton del 1956, “Nessun uomo è un’isola”, ha dato vita ad un’espressione destinata ad avere successo. Paola Di Nicola, nel 1987, lo ripropone come titolo per la sua ricerca sulle reti informali di aiuto e Pierpaolo Donati, in un articolo pubblicato di recente sulle pagine di “Atlantide”, ricorda come il soggetto – al di là della professione esercitata e dei beni posseduti – sia costantemente definito dalle relazioni significative che intrattiene con gli altri. Sono proprio queste a renderne possibile l’identificazione ed il riconoscimento sociale e, nella misura in cui tendono a farsi fragili e temporanee, questi è psicologicamente disancorato e socialmente indefinito.



Le reti di relazione, la cui importanza è apparsa sempre decisiva per la sociologia, costituiscono anche per Ralph Dahrendorf dei “vincoli” preziosi. La limitazione della libertà, che è conseguente ad ogni relazione umanamente significativa, costituisce infatti la migliore opportunità affinché il soggetto non si disperda nella serie infinita di opportunità e occasioni, in costante variazione, che caratterizzano le società avanzate. Senza un tale limite ogni scelta sarebbe destinata ad evaporare sotto la spinta incessante delle nuove possibilità. Non ci sarebbero scelte significative, ma solo opzioni temporanee; si può quindi vivere in una società dalle mille opportunità solo a condizione di avere criteri forti di scelta. Tra questi criteri ci sono i legami significativi, quelli che non si cambiano come i nomi sulla rubrica di un cellulare. Avere legami significativi e reti valide che non scompaiono nella nebbia al primo cambio di stagione è tanto più necessario quanto più le possibilità di scelte si moltiplicano. Un soggetto che non possegga più legami significativi, ma viva nell’effimero di rapporti temporanei, si condanna a reiterare all’infinito scelte a breve termine, diventando così incapace di fondare qualunque cosa destinata a durare.



Ora è proprio questa coscienza dell’effetto perverso prodotto da una società con mille opzioni ma con legami deboli, che sembra mancare nell’analisi di Bauman. Questi non sembra essere immune da un giudizio di valore. Dietro l’analisi dei fatti, magari spesso sovra-dimensionati, non è difficile imbattersi in valutazioni compiaciute, come accade per molti sociologi contemporanei cresciuti dentro il sogno positivista del nuovo che avanza. In Bauman – e ancora di più in molti dei suoi ammiratori – il single da relazioni liquide è un personaggio intrinsecamente positivo poiché dotato di un coefficiente maggiore di libertà. Non è prigioniero di identità o appartenenze che non possa de-costruire e ricostruire in modo diverso e, soprattutto, in piena e incondizionata autonomia. In pratica quello che per tutta una tradizione sociologica è un problema – l’assenza di legami socialmente significativi – viene occultato per leggervi solamente la libertà delle scelte eternamente rinegoziabili.



È pur vero che esiste un primato del single metropolitano e professionista, esempio di flessibilità e di sensibilità al cambiamento, capace di rispondere, al meglio, alle esigenze del mercato e, proprio per questo, registrare il maggiore successo. Se Bauman ha ragione sull’ascesa oggettiva di questa figura, tuttavia non ne ha altrettanta sia quando ne fa l’esito di una scelta volontaria, sia quando estende una tale consapevolezza anche alla scelta di rapporti “liquidi”. In pratica Bauman non vede il lato involontario di una tale condizione. Eredi di famiglie nucleari, i single sono spesso vincolati alla loro condizione da percorsi di formazione sempre più importanti e sempre meno circoscritti al proprio territorio di residenza. L’importanza di cambiare lavoro, per acquisire maggiori competenze, l’obbligo di recarsi al di fuori della propria città, la convivenza in reti informali eternamente provvisorie, poiché formate da profili sociali simili e in una situazione analoga, fa della vita da single più la conseguenza di una dimensione d’esistenza esterna alle scelte individuali, che una vocazione reale. Se la vita del single non è sempre una scelta volontaria, tanto meno necessariamente si appaga di una vita relazionale “liquida”. Ma se così è, allora questa stessa vita resta indeterminata e la caratterizzazione che ne fa Bauman non può riguardare che una parte di questo inedito e provvisorio gruppo sociale. Elevare la parte a rappresentanza del tutto significa occultarne i limiti e scambiare una scelta temporanea in una vocazione permanente.

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