Pierpaolo Donati, ordinario di Sociologia alla facoltà di Scienze politiche dell’Università di Bologna, ha degli appunti da muovere alla lettura di Zygmunt Bauman secondo cui, nella nostra società si vivono solo rapporti «eminentemente scioglibili» e «facilmente gestibili, senza durata determinata, senza clausole».
L’affermazione di Bauman è, ovviamente, uno sviluppo della sua teoria sulla società liquida, per cui staremmo andando verso un futuro in cui tutto diventa volatile. Credo che questo non sia vero. C’è nel pensiero di Bauman una certa contraddizione: da un lato, a livello di osservazione sociologica, egli teorizza una grande volatilità della società, composta da «individui individualizzati», come lui li chiama; dall’altro lato deve rilevare che esiste la persistenza di strutture sociali molto forti, che costituiscono non solo delle barriere per la mobilità sociale, ma sono anche delle realtà insuperabili nei corsi di vita delle persone. Le quali non possono facilmente cambiare la loro «rete» di relazioni; anzi, si trovano in reti di relazioni che li imprigionano, in qualche modo li schiavizzano. Usando le parole del cardinal Caffarra, questa è una società che, anziché liberare gli individui, li rende più schiavi: delle passioni, delle mode, di tutta una serie di fatti che, al contrario di quanto dice Bauman, gli individui non possono assolutamente cambiare e ritenere «scioglibili» a piacimento.
Perché, allora, Bauman usa l’immagine della società liquida?
Il nocciolo del suo discorso consiste nel sostenere che oggi sia impossibile l’appartenenza, il legame significativo, stabile, duraturo. Questa posizione si contraddice dal punto di vista descrittivo, quindi rivela il suo carattere normativo: Bauman plaude a questo tipo di società. Simile modo di vedere le cose risale a Marx – Bauman non ha mai rinnegato il suo fondo marxista – che, nel suo libro sulla famiglia, dice che in futuro i rapporti sessuali saranno scioglibili a piacimento e si farà sesso come si beve un bicchiere d’acqua. Come dire: il capitalismo rende volatile qualunque tipo di relazione sociale, dal matrimonio ai rapporti generazionali, a quelli di lavoro. È il Marx del Manifesto del 1848 che sostiene che tutto quello che era solido sarebbe diventato liquido. La tesi della liquidità della società, dunque, vuole essere, anche se i suoi sostenitori non lo vogliono dire, una conferma delle previsioni marxiane.
Io credo che vada respinta anzitutto sul piano sociologico. Non è vera: i rapporti reali della società sono strutturati. Certo le strutture oggi sono morfogenetiche, cioè cambiano di forma, ma non è che con questo perdano il loro impatto e la loro importanza. Sul piano normativo, invece, questa lettura è pericolosa: la società liquida annulla l’individuo, diventa una società disumana. La persona, infatti, ha bisogno di rapporti stabili; pensiamo al bambino nel legame coi genitori, oppure alla relazione lavorativa, nella quale serve una certa stabilità per accrescere le capacità professionali e portare a dei risultati.
Non parliamo poi del campo religioso. Qui risulta chiaro che, in fondo, il discorso di Bauman è l’abolizione della religione. La parola religione deriva da re-ligo, cioè legare insieme; è insito nel concetto stesso di religione quello di legame stabile e significativo. Se noi annichiliamo il legame, cioè diciamo che tutti i legami diventano sgravati da vincoli, senza doveri, scioglibili a piacimento, che ciascuno sceglie quando vuole e come vuole, annulliamo la sostanza della religione, che è, appunto, legame che connette le persone fra loro come figli di Dio e a Dio stesso. C’è dietro al discorso di Bauman una impostazione falsamente riduttiva, ma anche un impianto ideologico: è finita la religione, non c’è più Dio, non c’è più legame tra gli uomini e Dio e tra gli uomini tra di loro.
Il pericolo di una libertà intesa come assenza di legami è stato evidenziato da Benedetto XVI a Parigi.
In Bauman c’è proprio un’esaltazione della libertà in senso negativo, come libertà da legami, da vincoli, da obbligazioni, da condizionamenti. Anche da quelli di tipo ascrittivo, cioè del tutto indipendenti dalla volontà o dalla capacità della persona. Si può fare l’esempio del sesso; quel tipo di libertà teorizza che uno, pur essendo nato maschio o femmina, a un certo punto può decidere di cambiare; ci sono indicazioni dell’Unione europea che parlano di autodeterminazione del genere: il soggetto decide di che sesso è indipendentemente dalla corporeità fisica. Questa idea della libertà come indipendenza da qualunque dato o da qualunque vincolo e realtà che sia indipendente dal soggetto significa una soggettivizzazione, una privatizzazione totale della vita.
Il Papa ricorda che questa non è libertà. La libertà ha dei contenuti ed ha una direzione, è una libertà per qualcosa e non da qualcosa. Certamente c’è anche una libertà dai condizionamenti negativi e dalle costrizioni che non ci rendono responsabili delle nostre azioni, ma il punto essenziale è la libertà positiva, cioè la possibilità di realizzare i propri progetti, le proprie premure fondamentali nella vita. Quindi la libertà vera ha sempre un contenuto e una direzione. Dire, invece, che la libertà consiste nella possibilità di essere sempre «altrimenti», diversamente da come si è, non è libertà, ma anarchia nel senso deteriore del termine. Il suo risultato è una società anomica, priva di regole, di norme. In essa la libertà positiva viene annullata e, così, viene annullata la possibilità di seguire dei progetti e delle scelte di vita che ci legano in qualche modo a una comunità di destino (pensiamo al lavoro, alla famiglia, alle comunità locali).
Il discorso di Bauman è sofisticato, ma anche improntato a un nichilismo di fondo. Constata come questa società si stia autodistruggendo, ma in un certo senso afferma che è bello autodistruggersi. L’individuo si autorealizza in questa libertà indeterminata; sente di poter fare qualunque cosa, però è anche chiaro che questo lo porta all’autodistrzione.
Un simile individuo è più facilmente preda del potere?
Bisogna ricordare la lezione di Tocqueville, che parlava di «democrazia dispotica». Quando gli individui vengono protetti nella loro libertà assoluta, intesa come libertà negativa, come possibilità di fare qualunque cosa perché nessuno li costringe, li vincola, pone norme cogenti, non siamo più nella democrazia autentica, dove ciascuno è libero ma anche responsabile di quello che fa, ma nella democrazia dispotica. C’è un potere molto soffice, molto lontano dagli individui, che protegge questa sorta di autodistruzione della società: concede le libertà investendo lo Stato e il sistema politico di tutte le tutele di queste libertà. Lo Stato, cioè, «privatizza il privato».
Si potrebbe dire che questo è il modo di essere del mercato: una moda distrugge un’altra moda, nuovi consumi sostituiscono quelli vecchi. Il problema è che questa analogia non regge, per il semplice fatto che il processo di distruzione delle relazioni e dei legami sociali non è recuperabile. Non possiamo consumare le relazioni sociali di appartenenza (quelle familiari, quelle delle associazioni, quelle di una comunità culturale, religiosa o ideale) e poi ricostituirle subito in un altro modo. Quest’idea di Bauman che i legami si possono sciogliere e disfare a piacimento è assurda, contrasta con qualunque realtà. Basta vedere l’esempio delle coppie che si separano o divorziano; si può ovviamente sciogliere il matrimonio come contratto e atto formale, ma la relazione rimane un po’ per tutta la vita; la si può «consumare», ma lascia un fondo di amaro, una storia che crea disagio. Un altro esempio è l’aborto volontario: la donna può tagliare la relazione col figlio e di fatto lo fa, ma questo taglio della relazione – che non potrà mai più essere ricostituita, perché il figlio non potrà più nascere – è un annichilimento della relazione e anche di parte della identità stessa della donna. La storia delle relazioni resta con noi; esse non sono «usa e getta», non si possono cambiare a piacimento. Dietro la posizione di Bauman c’è dunque un errore drammatico, una mancanza di rispetto della realtà umana.