Apprendiamo dai quotidiani del 13 gennaio, con tanto di corredo di immagini, che il 4 febbraio alcuni autobus di Genova gireranno “rivestiti” con la campagna promossa dalla “Unione atei e agnostici razionalisti”. Questa abile mossa di relazioni pubbliche, costruita sul perenne desiderio dei mass media di attirare audience facendo un po’ di scandalo, denota che l’Unione, come già avvenuto in altri paesi, si è affidata a fior di specialisti. La stessa campagna, tecnicamente è confezionata assai bene: l’autobus, tutto coperto di nuvolette azzurre, riporta un paio di affermazioni dal tono decisamente apodittico: “LA CATTIVA NOTIZIA È CHE DIO NON ESISTE. QUELLA BUONA È CHE NON NE HAI BISOGNO”. Mi informa Federico Unnìa, esperto di diritto della pubblicità, che la campagna è stata ideata da Ariane Sherine, una scrittrice di commedie che, viaggiando in autobus, un giorno rimane colpita dalla reclame di un’associazione cristiana che citava un versetto della Bibbia. S’incuriosisce e visita il sito web dell’associazione che annuncia ai non credenti: «Passerete l’eternità a tormentarvi». Così, quasi per una forma di rivincita, Ariane ha la brillante idea di avviare una “contro-campagna” per diffondere il messaggio ateista e ottiene l’appoggio della British Humanist Association, dello scienziato e scrittore Richard Dawkins e del filosofo A. C. Grayling. Basta qualche settimana e la campagna raccoglie oltre 200 mila sterline. Una cifra sufficiente a comprare gli spazi pubblicitari di 800 autobus nelle maggiori città inglesi e un migliaio di annunci nella metropolitana londinese.
L’idea fa subito presa in altri paesi. Il messaggio diffuso in America recita: «Perché credere in Dio? Sii buono per amore della bontà». In Spagna il tono è un tantino meno perentorio e più possibilista: «Probabilmente Dio non esiste. Smettila di preoccuparti e goditi la vita». Ovunque la campagna fa rumore e crea accesi dibattiti (in Australia la sua pubblicazione non è stata ancora autorizzata dagli organismi competenti. Il presidente della Uaar (Unione atei e agnostici razionalisti) dichiara apertamente che la decisione di partire con Genova ha un intento volutamente provocatorio, visto che è la città del Presidente della Cei, Angelo Bagnasco. L’obiettivo evidente è quello di sfidare il Cardinale sul suo territorio, sperando di fare il maggior rumore possibile ottenendo – come già avvenuto il 13 gennaio – l’attenzione dei mass media.
Dal punto di vista del diritto, nessuno può negare a chicchessia la potestà di promuovere una campagna pro o contro principi etici o religiosi. L’unico vincolo dovrebbe essere il rispetto delle idee altrui. E le prime reazioni in campo cattolico sembrano essere improntate a un prudente fair play, a testimonianza che oggi la violenza verbale è sempre più spesso appannaggio della cultura relativista e radicale. «Questa iniziativa potrebbe anche risvegliare qualche coscienza» – sostiene Monsignor Granara, rettore del Santuario della Madonna della Guardia – «offrendo uno stimolo ai cristiani per offrire la propria testimonianza dimostrando una fede pensata e amica dell’intelligenza». Anche don Gianni Baget Bozzo, noto per la sua vis polemica, usa un tono insolitamente soft: «Preferirei che questi autobus non ci fossero – dichiara al Corriere della Sera – ma potrebbero avere l’effetto opposto di quello prefissato. C’è stato l’ateismo comunista, quello ideologico, adesso c’è quello che ti dice: goditi la vita perché nessuno ti giudica. È un messaggio di solitudine, lo trovo depressivo». Stephen Wang, uno dei tutor del Seminario Allen Hall – dove si preparano i futuri preti cattolici della diocesi di Westminster – si dice addirittura divertito dalla campagna pubblicitaria. Il religioso ne sottolinea l’aspetto positivo affermando che, in periodi come questo, «è meraviglioso spingere la gente a pensare». Insomma, quel “forse” piazzato lì all’inizio della frase (“Forse Dio non esiste”) può aiutare a sollevare domande che la gente non si pone più o che non si pone più seriamente, e che magari solo un cartellone pubblicitario è in grado di suggerire ancora. Secondo il ragionamento di Wang, l’importante è suscitare una reazione che spinga la gente a riflettere su ciò che crede veramente (sempre che creda a qualcosa) e a vivacizzare il dibattito.
Ecco, probabilmente il problema più che altro è qui: in Inghilterra l’associazione che rappresenta gli atei dimostra più rispetto delle idee altrui, e nello slogan ci mette un “forse”. In Italia no. Si preferisce essere perentori e esibire quella irridente supponenza odifreddiana nei confronti di tutti quelli che non la pensano come loro sulla fede, sulla vita e sulla morte. Alla faccia della tolleranza.