“La notizia cattiva è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno”. Questa scritta campeggerà su due autobus del servizio di trasporto pubblico genovese. L’iniziativa, ideata e finanziata dall’Unione Atei e Agnostici Razionalisti, ricalca i precedenti analoghi di Inghilterra, USA e Spagna. Molti esponenti del mondo ecclesiastico hanno fatto buon viso a cattivo gioco definendo addirittura il messaggio “controproducente” in quanto, sebbene con intenti negazionisti, parla comunque di Dio. Una reazione assai più pacata di quella emersa da alcuni rappresentati politici o del mondo culturale. Ma si tratta davvero di una provocazione efficace? A giudizio del professor Stefano Zecchi sembrerebbe proprio di no.
Pare che anche in Italia, a Genova, vedremo circolare i cosiddetti “bus atei” che recano la scritta pubblicitaria ideata dall’UAAR. Qual è la sua opinione in proposito?
La trovo innanzitutto una pubblicità estremamente di cattivo gusto. In sostanza rappresenta un plateale errore nel tentativo di presentare con serietà le proprie convinzioni. Dev’esserci sempre una forma, uno stile nel riferire quelle che si considerano verità, falsità o anche semplici opinioni. In questo caso lo stile è stato totalmente tradito.
In secondo luogo trovo che l’iniziativa sia tragicamente banale. Non è possibile pensare che sia una pubblicità a convincere le persone nel prendere una decisione su una delle questioni, se non la questione, principali dell’esistenza umana. Il problema dell’esistenza di Dio accompagna l’uomo da sempre. Davvero ci si può affidare a una pubblicità su un autobus per risolverlo? Non si può trattare un argomento così importante e delicato come se fosse analogo alla scelta di un dopobarba o di un detersivo. Quando poi ho sentito Piergiorgio Odifreddi commentare l’iniziativa in televisione asserendo che questo messaggio pubblicitario può favorire l’aumento della razionalità degli italiani mi è davvero venuto da ridere.
Che limiti deve avere, se deve averne, la libertà di espressione?
La decenza. Questo tipo di espressione che vorrebbe manifestare il fondamento del pensiero ateo, la distanza della cultura laica da quella religiosa, è affidato a un tipo di messaggio senza dignità, che credo rischi di sortire l’effetto opposto.
Sono convinto che qualunque papa vorrebbe avere come suo massimo interlocutore o oppositore uno così imbecille da voler affidare la propria idea di razionalità a un messaggio promozionale. La banalità di questa trovata consiste soprattutto nel fatto che non pone un problema, non pone una questione, non pone in realtà nulla di quello che potrebbe essere con maggior dignità proposto come problematica circa la verità sull’esistenza di Dio.
Non è un po’ troppo presuntuoso affermare “non esiste Dio”?
Una sintesi come quella contenuta nella frase “non esiste Dio” non è certo nuova, appartiene alla nostra civiltà e si può anche raggiungere dopo una seria riflessione, come alcune nostre correnti filosofiche hanno mostrato.
Ribadisco: il vero scandalo, l’imperdonabile scivolone è farne una specie di messaggio promozionale. È la dimostrazione di come il laicismo occidentale, e non soltanto quello italiano, ha raggiunto il suo livello più basso e degradato dal punto di vista culturale, della sua incapacità a esprimere un concetto. È quindi un laicismo che ricorre a questi mezzi pubblicitari i quali sono sintomo di una povertà di argomentazioni e di una grande miseria speculativa.
Il passaggio che sta compiendo il laicismo è questo: dalle grandi ideologie della storia al messaggio promozionale.
Alcuni esponenti ecclesiastici si sono pronunciati in merito a questa iniziativa definendola addirittura controproducente rispetto alle intenzioni con le quali è stata imbastita. Anche lei è di questo parere?
Certo, come dicevo, una simile opposizione sarebbe l’ideale per qualsiasi papa della storia. Da un lato parla di Dio, l’oggetto che dovrebbe dimenticare, ma che sembra comunque presente, dall’altro è impressionante vedere ridotta la storia del nostro pensiero, anche di quello che ha espresso, con dovizia di ragionamenti e serie problematiche, una visione non legata alla presenza di Dio. Se questo è l’esito della nostra cultura millenaria c’è davvero da deprimersi. Soprattutto gli intellettuali non credenti dovrebbero deprimersi prendendo atto che la loro posizione esistenziale sia rappresentata in maniera così becera.
Che vantaggio potrebbe avere una società totalmente atea? Saprebbe davvero godersi la vita?
Non c’è nessunissimo vantaggio. A spingere verso questo tipo di ateismo da pubblicità non c’è un vero fondamento intellettuale se non l’ipotesi o l’idea che una vita condotta senza il problema morale di Dio porterebbe a dei vantaggi. Vantaggi che sarebbero però solamente personali, esclusivamente limitati all’obiettivo di condurre una vita epicurea, senza di fondo porsi il problema dei vantaggi sociali, dei mali del mondo.
È poi da chiarire una cosa: in questa concezione Dio viene concepito solo come censore morale dei nostri comportamenti. Ma sarebbe davvero possibile “godersi la vita” senza l’idea di Dio? Le leggi e gli obblighi sociali rimarrebbero comunque. E se il godere la vita viene concepito come l’infrangere le regole non riesco a capire per quale motivo un credente non possa spassarsela, anzi.